Uscito tre anni dopo lo storico Violator, Song Of Faith And Devotion è sicuramente l'album più difficile dei Depeche Mode. Siamo nel 1993 e la band è all'apice del successo. Milioni di copie vendute, concerti, interviste, apparizioni varie. Tutto ciò inevitabilmente, come spesso accade, presenta un conto molto salato da pagare. Il loro leader Dave Gahan sprofonda in una crisi psicologica a base di eroina (nell'estate del '96 tenterà addirittura il suicidio in un hotel di Los Angeles), ma è tutto il gruppo che ne risente. L'album di conseguenza suona cupo, minaccioso, opprimente, ma soprattutto molto più "rock" e meno elettronico dei precedenti. Tutto ciò non va però assolutamente a scapito della qualità, che rimane molto buona. Anzi, queste atmosfere oscure donano fascino al loro sound, trascinando l'ascoltatore in un clima claustrofobico. Insomma, la crisi c'è, e si "sente".

L'apertura è affidata al riff ipnotico di "I Feel You". La voce di Gahan è bellissima: graffiante, corposa, seducente. È nella sua piena maturità. L'impatto sonoro è notevole, bordate violente di chitarra elettrica infiammano il ritmo martellante della batteria. I Depeche non avevano mai suonato così "potenti". La conferma di questo cambiamento si trova nella seguente "Walking In My Shoes" (espressione inglese che significa "prova a metterti nei miei panni"), in cui Gahan esprime tutto il suo sentimento di insoddisfazione, reclamando comprensione, compassione. La canzone è bellissima, ipnotica, straniante, e rappresenta una delle vette artistiche del gruppo britannico.
"Condamnation" è un gospel che al primo ascolto lascia un pò perplessi. Semplice ed onestamente anche un pò banale, ha però il merito di rivelare, come se ce ne fosse bisogno, le grandi doti vocali di Gahan, oltre a quello di risultare dannatamente orecchiabile, entrandoti in testa sin dal primo ascolto.
Con "Mercy In You" si ritorna all'inquietudine, tema di fondo dell'album. Ritmo meccanico, chitarra incendiaria, ed elettronica rarefatta a creare un tappeto per la suadente voce del frontman.
Il capolavoro del disco risiede nella sesta traccia. Una drum machine che sembra emulare il battito di un cuore affannato accompagnata da arcani rumori in lontananza... il pezzo prende corpo su sé stesso, evocando un senso di misticismo davvero notevole. Gahan intona il suo salmo straziante, dilaniato dai lamenti agghiaccianti di un controcanto da brividi. È "In Your Room", gioiello di rara bellezza, e forse il pezzo migliore della storia dei Depeche Mode.
Ai quattro di Londra questo non basta e si gettano a capofitto nel ritmo nevrotico di "Rush", altra melodia memorabile, parto della mente eclettica di Martin Gore.
A chiudere il discorso ci pensa la vibrante tensione di "Higher Love", disperata conclusione di un album che ha il suo unico difetto in alcune lievi cadute di tono ("Get Right With Me", "Judas", o la mielosa "One Caress") senza le quali sarebbe stato indubbiamente una perla dei '90.

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