Donatien-Alphonse-Francois de Sade - La Filosofia nel Boudoir (1795)

De Sade, il famoso Marchese. Che ne sarebbe di lui ai giorni nostri? Sul finire del ‘700 de Sade si trovava in galera con accuse di varia natura, ma ormai era malato, invecchiato, ingrassato e pieno di debiti, nonché fortemente minato dalla terribile esperienza in manicomio. Dopo una vita dissoluta e dedita a piaceri e perversioni di ogni tipo, tra continui andirivieni in svariati carceri con accuse infamanti, è condannato a morte. Si salva per miracolo forse per un errore (lo cercarono nel carcere sbagliato) forse per una lettre de cachet, forse per un errore numerico (in carcere risultavano 28 condannati a morte invece di 29), più probabilmente grazie all'amnistia dovuta alla fine del periodo di "terrore" e alla sentenza di morte di Roberspierre, il Divin Marchese torna libero e, nella sua abitazione, riprende a scrivere.

Tra i vari scritti di quel periodo, alcuni andati perduti o distrutti dal figlio dopo la morte del padre, il più noto è questo "La filosofia nel boudoir". Opera che in qualsiasi epoca fosse stata scritta avrebbe incontrato gravi problemi con la censura e sarebbe stato tacciato di contenere assurdità pornografiche, pedofilia, trasgressioni patologiche e chi più ne ha ne metta.

Il romanzo narra le vicende di una ragazza quindicenne di nome Eugénie e di tutta la sua tribolata iniziazione sessuale. La Signora de Saint-Ange, metterà a disposizione il proprio boudoir affinché il pervertito e lussurioso Dolmancé, signorotto di zona, assieme ai suoi accoliti, Augustin e La-Pierre (i suoi domestici), il cavaliere de Mirvel e Madame de Mistival, possa "educare" la ragazza sottoponendola alle più fantasiose e terribili pratiche e passando ad atti e azioni coercitive e plagianti per convincerla della bontà di tesi strampalate, non solo su sodomia, incesto o su promiscuità di ogni sorta, ma anche su materie più delicate quali l'omicidio, i furti e la vita matrimoniale, vista con aberrante e cinico orrore fino a definire il concepimento e la riproduzione l'ostacolo posto da Dio, al sommo piacere carnale.

I tratti diretti e crudi dello scritto rappresentano molto bene il principio di trasgressione e ribellione tramite cui il Marchese fa operare i protagonisti. L'elegia del piacere è posta in contrapposizione alle restrizioni della società cattolica e bigotta, che l'autore tenta a più riprese di demolire.

I protagonisti sono manichini, burattini nelle mani di De Sade e muovono sul ristretto palcoscenico mettendo in atto perversi e spesso anomali atti sessuali, per dimostrare come queste eccezioni possano diventare normali nella mente traviata e che tenta di traviare, perpetrando e reiterando gli stessi comportamenti fino a farli accettare come routine. La loro descrizione è dettagliata, estremamente precisa e particolareggiata, tale da dimostrare da una parte la grande abilità letteraria del Marchese, dall'altra come l'illuminismo deviato e pilotato al parossismo esaltante, bestiale e primordiale del sesso, sia mezzo di condanna sociale, religiosa e politica, capace come null'altro di smuovere reazioni a livello fisico e mentale.

La fantasia sessuale dell'autore non conosce limiti e, forte delle esperienze personali, riesce a trasmettere ai protagonisti il desiderio di sperimentare ogni cosa capiti per la loro mente, fino a far pronunciare frasi del tipo: "... che nulla vada sprecato ..." mentre un paio di labbra suggellano l'apparato sfinterico ove lo sperma sta percolando. Tutto ruota attorno a un apoteosi libidica senza freni e la staticità della location è ben compensata dall'esplosiva girandola di eventi, posizioni e scambi.

Quello che alla fine viene dimostrato da questa particolare lettura è quello che i greci, con tanta profondità di pensiero, facevano, contrapponendo Eros e Thanatos ed evidenziando come dal sesso scaturisca la vita, ma anche l'abbassamento al più suo più infimo livello di autodistruzione fino, appunto, alla morte.

Nonostante la materia trattata, siamo al cospetto di un romanzo che genera più curiosità che eccitazione e ritengo - alla fine dei conti - che la sua valenza sia meramente soggettiva e che ognuno, in opere come questa, debba ricercare ciò che è più congeniale alla propria personalità, ovviamente comprendendo anche il rifiuto generalizzato.

sioulette

Carico i commenti... con calma