editoriale di Kiodo

“Hai la possibilità di viaggiare indietro nel tempo ed incontrare il te bambino. Puoi dargli solo un consiglio. Cosa gli dici?”

Probabilmente gli consiglierei di stare sereno, che quello che lo fa sentire diverso dagli altri ha un nome - classismo - e che quella merda cesserà di essere strumento per catalogare le persone.

Gli direi che quelli come lui smetteranno di essere gli ultimi, ma di non illudersi perché gli ultimi non smetteranno di esistere. Lo esorterei a non dimenticare come ci si sente, perché gli ultimi di domani saranno molto più nella merda.

O forse mi limiterei a dirgli che La Fabbrica Dei Mostri non è così divertente come crede.

Tanto, a partire da allora, il tempo e la musica assolveranno le loro funzioni. Leniranno le ferite. Amplificheranno le incazzature.

Oggi sono trent’anni di Korn.

Pace in terra agli uomini di buona volontà.

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editoriale di Kiodo

Commettiamo ogni volta lo stesso errore: guardare il dito e non la luna. Credo non impareremo mai.

Disney piazza un bel disclaimer su alcuni suoi film (roba sua, perciò può farci quello che vuole) e la logica vorrebbe che sia un'ulteriore occasione per dirsi e dirci "sticazzi, io da questo esatto momento mi impegnerò con ancora più forza nel trasmettere ai miei figli il valore della tolleranza e del rispetto per gli altri, così che già da domani nessuno si senta più nella condizione di venirmi a fare la morale attraverso prese di posizione ridicole come questa, tantomeno il vecchio Walt".

Ed invece, puntuale suona l'orchestrina di indignati da social, che porta via sicuramente meno tempo e fatica.

Questa deriva del politicamente corretto ha stufato anche me, perciò non credo sia il caso di farmi troppi problemi nel lasciarmi andare ad un maiuscolissimo I FILM DELLA DISNEY NON VI HANNO INSEGNATO NIENTE, SIETE UNA MANICA DI PANCINE E DI RAMMOLLITI.

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editoriale di Kiodo

Quello del razzismo é un argomento che nessuno di noi comuni mortali ha mai realmente affrontato fino in fondo perché non ne abbiamo voglia, ed é probabilmente per questa motivazione che nessuno dei sopra citati vedrà mai ascrivere il proprio nome in un libro di storia, indipendentemente dal fatto che si possa parlare di merito o demerito.

In pratica, chi lo é reclama il suo diritto ad esserlo ma se ne vergogna, non si spiega altrimenti il vederli saltare come molle quando li si taccia di razzismo, costretti ad appellarsi a termini dei quali non comprendono appieno il significato tipo "politicamente corretto".

Chi non lo é ,invece, si dimostra giustamente sensibile al tema, al punto da diventare in certi casi suscettibile all'inverosimile.

Il punto però é soltanto uno: se domani, accendendo la TV per il Tg del mattino, oppure l'autoradio lungo il tragitto per andare al lavoro, oppure ancora aprendo il giornale durante la tappa per il caffè al bar venissimo a conoscenza del fatto che la Federazione Internazionale per i diritti umani dichiara ufficialmente i termini "nero", "negro" e "di colore" come epiteti razzisti e quindi penalmente perseguibili, ci troveremmo divisi fra chi lo troverebbe giusto e chi si sentirebbe "imbavagliato" perché "non si può più dire niente".

É necessario andare in fondo alla questione una volta per tutte ed é necessario farlo nell'unico modo possibile: chiamando in causa i maggiori esponenti a vari livelli delle cosiddette minoranze.
É ridicolo? Assolutamente si.
É necessario? Senza ombra di dubbio.
Siamo ridotti così, il nostro intelletto (???) non basta più, la nostra sensibilità nemmeno ma siamo ormai nel 2021 e non é più possibile sentir sindacare cosa é razzista e cosa non lo é da eleganti uomini bianchi nei salotti TV.
Bisogna che qualcuno ci dica se quei 22 uomini che ieri sera hanno lasciato il terreno di gioco durante una manifestazione UEFA che fra i vari slogan recita il sempre maiuscolo "NO TO RACISM" hanno avuto ragione di farlo oppure no.
Quello che é successo ieri sera a Parigi é troppo importante perché nessuno gli dia un senso, un significato univoco.

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editoriale di Kiodo

Sento la necessità di dover aprire questo pezzo con una premessa utile a chiarire una volta per tutte alcuni punti riguardo la mia posizione: non sono un recensore musicale.
Addirittura non ho direttamente a che fare con la musica da anni. Molto più semplicemente, sono il tipo di polemista seriale che trova nella scrittura la sua migliore occasione per formulare pensieri di senso compiuto, del tipo che utilizza i versi delle canzoni come intercalare.
Penso in musica, scrivo per limitare la pessima abitudine di rimanere solo con i miei pensieri ed il confluire degli stessi attraverso sonore bestemmie che squarciano il silenzio dei pomeriggi feriali.
Perché si, sono un anonimo operaio e questo è qualcosa di particolarmente rilevante per questo editoriale.

Quando gli Spanish Love Songs uscirono con "Schmaltz", il secondo capitolo della loro fin quí giovane carriera (nonché l'album che mi iniziò al loro ascolto), avvertii in maniera pressoché netta la sensazione che quel disco fosse esattamente ciò di cui avevo bisogno.
C'è stato fin da subito qualcosa nel suo lirismo, un livello di onestà che sentivo mancare da altre band che avevo consumato di ascolti fino al giorno prima.
Fra i diversi elementi che personalmente mi parvero rilevanti del disco, quello che ha catturato in misura maggiore la mia attenzione è stato anche quello presentato nella maniera più inaspettatamente sincera: uno sguardo (veramente) onesto ad apatia e depressione.
Non si trattò assolutamente del solito disco su come le cose sarebbero andate meglio, ma su come non sarebbero mai andate.
Il che si rivelò utile, in un certo senso, ad affrontare un periodo non propriamente esaltante, togliendo la pressione e sostituendo la speranza con l'accettazione. Per citare un verso di "Haloa To No One:

“Potresti cambiare taglio di capelli, ma sembrerai sempre imbarazzante. Il tuo mal di schiena potrebbe anche alleviarsi, ma non ti riposerai mai. Potresti andare avanti, ma non ti sentirai mai importante. Potresti stare bene, ma non sarai mai il migliore. Quindi quando ti svegli e sai che non starai mai meglio: nasconditi sotto le lenzuola, la tua stanza sarà sempre un disastro. "

Con l'avvicinarsi della pubblicazione di " Brave Faces Everyone ", quindi, i miei colleghi di fanbase ed io eravamo entusiasti per il nuovo sforzo della nostra nuova band preferita. Detto questo, tutti mettemmo le mani avanti (ma dai?), come a scongiurare il fatto che probabilmente il successore di "Schmaltz" non avrebbe avuto la stoffa per raccoglierne il testimone.

Ed invece, gli Spanish Love Songs fecero qualcosa che non mi aspettavo, nel momento nel quale meno me lo sarei aspettato, di nuovo: mi sorpresero.

E, nel farlo, mi trovarono senza parole.
Consapevolmente o meno, sembró fin dal primo ascolto che " Brave Faces Everyone " riprendesse un discorso mai veramente concluso con " Schmaltz ", ma invece di infierire ulteriormente verso l'interno, il loro sguardo questa volta fosse rivolto verso l'esterno.

Attraverso gli stessi canoni di scrittura fatalistici di questa nuova corrente di "punk emozionato", gli Spanish Love Songs agitano il loro contenuto lirico per ottenere una nuova miscela e discutere sulle prime di capitalismo di classe e poi, una volta scaldato il motore, di gentrificazione, sparatorie scolastiche, abuso di droghe, traumi generazionali, abuso di potere da parte della polizia (ben lontani dai fatti di Minneapolis) ed altro ancora.
Tutto questo senza sacrificare il marchio di fabbrica, la straziante semplicità del loro modo di raccontare storie, realizzando quello che è un album punk-rock nell'accezione più squisitamente contemporanea del genere, profondamente personale e straordinariamente politico:

“Quindi, sto lasciando la città. Forse il paese. Forse la terra. Troverò un posto tutto mio, dove i coglioni non sono poliziotti che pattugliano i quartieri di cui hanno paura. E il resto di noi non si esaurirà spostando la gente del posto dai quartieri di cui abbiamo paura. Ora, se non venissimo salvati ogni volta dai nostri genitori saremmo morti. Cosa succederà quando saranno morti? "

-" Losers 2 "

In questo disco la band riesce a catturare le ansie e i fattori di stress del nostro momento attuale, senza prendere eccessive distanze dai propri privilegi. Di più, riescono a farlo senza sporcarsi di appropriazioni culturali dei simboli delle comunità oppresse a cui non appartengono:

"Hai detto 'l'ansia è il tema comune delle nostre vite di questi tempi'. Non posso nemmeno bere il mio caffè senza sfruttare qualcuno o rendere miliardario un altro milionario. Cosa ci vorrebbe per essere felici? Probabilmente inizierei con i loro soldi.

-"Optimism (As A Radical Life Choice)"

E tutto questo, la densità emotiva di temi mai così sentiti come oggi, esplodeva con la pubblicazione di "Brave Faces Everyone" in data 20 febbraio 2020, appena prima che la scia di eventi che tutti noi conosciamo si avventasse improvvisamente sulla nostra quotidianità, riducendoci come niente prima di allora a mucchi d'ossa e nervi scoperti.

Nel complesso, a distanza di 5 mesi da allora, mi scopro improvvisamente a non essere soddisfatto neanche un po' dalla risposta della maggior parte del movimento alternative/punk al momento che stiamo vivendo; senza fare nomi, è scioccante per me che non ci sia stata una sorta di rinascita del punk-rock.
Perché se da una parte continuo ad ammirare molte delle band di questa non-scena contemporanea con la loro apatia, con quell'atteggiamento "io ed i miei amici sul furgone e nient'altro", il fatto che in tempi di lockdown (tanto per fare un esempio) si siano preoccupati maggiormente di vendere ticket per show privati in streaming piuttosto che scendere in strada, per me è allarmante.
Sembra consapevolmente apolitico, in un momento che dovrebbe essere tutt'altro.

Ancora più interessante, almeno per quanto mi riguarda, il fatto che molte di queste band si allineino effettivamente al femminismo, o Black Lives Matter, o a qualche ideologia generalmente progressista, il che è grandioso, eppure faccio fatica ad ignorare il pruriginoso rimirarsi da parte di alcune delle suddette band nel riflesso di certi stilemi ed inevitabilmente finisco col chiedermi: è un fallimento della cultura e del genere di cui mi sono innamorato? Questa realtà vissuta al ritmo di meme non consente un esame più approfondito? Può esserci altro che esuli dal discorso "sbattimenti e deprenoia"?

Sono contento che così tante band di estrazione rock stiano prendendo posizioni nette allineandosi ad una forma di pensiero progressista, ma se all'atto pratico non si traduce nel materiale musicale, cosa stiamo davvero realizzando?

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editoriale di Kiodo

Ciao, scrivo a te perché la stima che nutro nei tuoi confronti mi spinge a farlo. Stima e rispetto per la forza con la quale esprimi il tuo parere ed il tuo supporto ad Achille Lauro. In questa settimana in cui gli sta piovendo addosso di tutto tu sei lì in prima fila, guidato da autentico trasporto e sincera partecipazione e senza mai scadere nelle volgarità, fatto non comune in questo contesto sociale caratterizzato da slogan ruttati.

Ti scrivo perché tu, come moltissimi altri in questi giorni, mi stai letteralmente fracassando i maroni via social con Achille Lauro, solo che tu, a differenza di troppi, hai quel non so cosa a livello di comprensione del fenomeno del momento che purtroppo manca a me, troglodita cibernetico che ha appena messo il pollicione del piede fuori dall'uscio dalla sua caverna.

Bene, fine della premessa.

Ricordi la canzone di Valerio Scanu? "In tutti i luoghi e in tutti i laghi"? Ottimo, quel brano porta la firma di un ragazzo del quale so ancora meno di quanto non sappia a proposito di Scanu, tale Pierdavide Carone, che se non ricordo male venne escluso dallo scorso festival di Sanremo perché il pezzo proposto non venne ritenuto adatto, trattando di storie di abusi realmente accadute o solo presunte, ma tristemente attuali, su alcune bambine.

Ora, dalla finale della scorsa edizione del festival é passato meno di un anno (364 giorni, il 2020 é pure bisestile ma non credo c'entri granché) e tu vorresti seriamente farmi credere che ti é bastato così poco tempo per diventare sensibile su certi temi?

E quando dico TU, non mi rivolgo specificamente a te, parlo di noi. Davvero é servito Achille Lauro a svegliarci tutti?

"Eh ma lui ha la tutina", "si é spogliato di tutto", "fa l'ambiguo", "sta un passo indietro", "canta al femminile". E sticazzi? Stai dicendo che uno vestito in maniera per così dire tradizionale, messo sul palco con un brano di musica per così dire leggera, magari pure in grado di cantare, non avrebbe lo stesso potere comunicativo di un saltimbanco? Che mancherebbe di forza e credibilità una volta messo lì, sullo stesso palco dal quale Lauro biascica le sue 4 banalità, con una canzone che denuncia le medesime brutalità?

É questo che io onestamente non comprendo, in tutta sincerità credo che non ci serva Achille Lauro.

Non solo, ho seri dubbi sul fatto che sia così avanti. Per esempio, prendi "Me ne frego" e mettici su la voce di Gianluca Grignani. Cazzarola, che svolta! La verità é che l'industria culturale é satura, i modelli positivi oggi devono essere camuffati così da provocare avversione. Di questo Achille non ha colpa, tu stesso non hai colpa. Peró, invece che plaudire al miracolo artistico che aspettavamo da decenni (???), dovremmo tutti interrogarci su come siamo arrivati al punto di essere ricettivi solo quando ci provocano. Il fatto di aver assunto le sembianze di tutto quello che ci spaventa non fa di Lauro un genio nemmeno per sbaglio, la provocazione é fine a sé stessa e non porta con sé nessun contenuto di particolare rilevanza:la lotta per il rispetto delle diversità andrebbe presa sul serio e, purtroppo (a causa tempistiche eccessivamente dilatate, un po' per la tendenza tutta italiana a procrastinare ed un po' per mancanza di cultura), combattuta in campo neutro. Il buffone che si presenta in tutú su di un palco, giocando con un'ambiguitá che Mario il benzinaro con la terza media può solo che attaccare, non serve assolutamente a perorare la causa.

Achille Lauro é il Marilyn Manson che non abbiamo avuto nel bel paese e come tale finirà nel dimenticatoio. Disinnescato, innocuo, grasso e calvo.

E per allora, nessuna delle sue trovate ci avrà salvati dallo squallore umano al quale siamo destinati.

Achille Lauro non é avanti, é oltre. É superato, pur essendo arrivato tardi.

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