Era il 1982 e Battiato cantava una manciata di canzoni passate alla storia. Un vero miracolo se si pensa che qualche anno prima l’artista vinceva il premio Stockhausen con un disco contenente due soli pezzi di pura ricerca sulla timbrica del pianoforte, roba da cultori paranoici. Con questo Battiato aveva invece composto un capolavoro commerciale, uno dei rarissimi album davvero trasversali, capace di catturare chiunque, dai nostalgici della canzone italiana ai seguaci delle nuove tendenze, un album da un milione di copie, un best seller assoluto. Non è dato sapersi se un Battiato veramente libero avrebbe mai prodotto un lavoro simile. D'altronde si è di fronte ad un personaggio poco inquadrabile, sempre pronto ad annichilire quanto fatto precedentemente, ma mai totalmente avulso al music business. E "La Voce Del Padrone", voluto dal padrone, la EMI per l’appunto, era probabilmente già allora nella testa dell’autore un album destinato a segnare il passo, senza però aver prima segnato, e a fuoco, la scena musicale dell’epoca. Fortunatamente per tutti, infatti, il compromesso fra l’artista d’avanguardia che era ed è, e l’esigenza di rimpinguare le casse di una casa discografia, si trasformò in una geniale miscela di musica pop, elettronica e sinfonica. Un exploit sorprendente ma non inspiegabile.

"La Voce Del Padrone" è un punto di arrivo di un percorso difficile e tortuoso, ma pur sempre un percorso: la discografia di Battiato fra la fine degli anni sessanta e il 1982 è di una varietà a tratti sconcertante. Non desta meraviglia quindi che l’artista siciliano da vent’anni a questa parte abbia diviso la sua attività in una carriera pop ed una più impegnata, mantenendole sempre su due piani distinti. Questo è forse un passo necessario per capire l’album e la sua genesi, ma non è sufficiente. Battiato stesso afferma di esprimersi nella musica pop al di sotto delle sue possibilità, al contrario di quanto avviene per le sue composizioni più impegnate nella quali è convinto di infondere più di quanto il suo talento gli permetta. Un’affermazione che può sembrare una dichiarazione di modestia ma che evidenzia la convinzione di possedere una forte affinità per la musica più “leggera”, soffocata però da un istinto che lo porta verso qualcos’altro. Ne "La Voce Del Padrone", forse messa alle corde, quest’affinità ha avuto uno sfogo talmente virulento da non consentire neanche una replica, a prescindere dall’ispirazione del momento e al dil à di ogni logica contrattuale.

I brani sono appena sette, ma con una concentrazione talmente alta di idee e soluzioni musicali da lasciare stupefatti. Il leit motiv dell’album è certamente la ritmica incalzante che sottende anche le parti più lente dei brani: in "Summer On A Solitary Beach" la logica da brano malinconico è stravolta dalla presenza simbiotica di un sassofono filtrato e una splendida linea di basso. "Gli Uccelli" è invece il pezzo dalle grandi aperture melodiche, dove riemerge una certa vena sinfonica subito soffocata a metà brano dall’incalzare di un drum’n’bass, tanto inevitabile quanto azzeccato, visto il contesto. Un citazionismo portato spesso alle estreme conseguenze contraddistingue pezzi come "Cerco Un Centro Di Gravità Permanente", in cui uno sfoggio di rimandi a immagini e filosofie orientali fa da contrappunto ad una scelta compositiva a dir poco easy listening. "Bandiera Bianca" è un excursus su costumi e malcostumi della società moderna, un brano, neanche a dirlo, ancora attuale, dove la vena polemica dell’artista trova una delle sue espressioni più palesi. "Cuccurucucu" e "Sentimento Nuevo" sono due strabilianti scherzi che Battiato riserva agli ascoltatori, il punto più “popolare” mai raggiunto dall’artista, che anche nell’occasione non rinuncia ad associazioni fra differenti elementi culturali: i profughi afghani e i pellerossa americani sono accostati con un’arguzia davvero notevole. Merita infine una citazione il brano meno noto, "Segnali Di Vita", un divertissement sulla vita e il cambiamento, che Battiato negli ultimi anni sta insistentemente proponendo dal vivo per restituirgli tutta la sua dignità.

Esprimere un giudizio definitivo su questo lavoro non è indispensabile, le cinque stelle, così come la recensione, sono solo un atto dovuto. "La Voce Del Padrone" è un disco unico nella carriera di Battiato e, in quanto tale, può essere osannato o giudicato male, dipende dall’idea che ci si è fatti dell’artista e delle sue qualità. E’ sbagliato ignorare questo disco almeno quanto considerarlo una vetta mai più raggiunta da Battiato. E probabilmente in questo sta la sua importanza e quindi l’obbligo di etichettarlo, inevitabilmente, anche se non lo si pensa fino in fondo, come un capolavoro.

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