‘Songs the Lords Taught Me’ – Per una piccola educazione sentimentale di questo vostro umile scrivano. 1a Puntata: Quella volta che stavamo quasi per perdere Detroit, ma che scoprimmo un mondo.

'É del poeta il fin la meraviglia'

Era una di quelle sere estive in cui ti era andato tutto storto.

Un litigio di troppo con la metà di allora, con lei che sta per partire per le vacanze da sola e tu che ti interroghi ancora una volta sul senso della vita: siamo nati per soffrire? sempre? Ma vaffanculo.

Perdipiù, col calore asfissiante di quell'afa di fine luglio da 40 gradi percepiti che liquefaceva l'asfalto e l'umidità che ti buttava dentro i polmoni una specie di gas esilarante.Ti pareva di stare facendo allenamento in quota, a 3.000 metri, come quei ciclisti-fachiri colombiani che appena l'ossigeno si rarefaceva, ti mollavano li, con la bocca aperta sbavante per recuperare ogni possibile alito di vento e loro invece sù a scattare, a prendersi la vetta come irreali camosci delle Ande, imprendibili.

Ma che vuoi fare? Andartene a casa? Ma no, abbassa a manovella tutti i finestrini - pardon, e i deflettori? quelli li devi proprio disincagliare!! - della tua scassatissima A112 Elegant che però una bella sgasata su strade sgombre la sa ancora fare e prenditi per quel che puoi il fresco, prenditi la città semi-silente, quella in cui girano solo metronotte e puttanieri incalliti.

E gira, gira, gira così senza meta.

Perdipiù, stavolta non hai voglia nemmeno di ascoltarti la TUA di musica su quel gracchiante autoradio. No, neanche voglia di cantare. Questa volta ci sentiamo la radio, solo un bisogno di vagare e non pensare.

Ecco, fu esattamente quella notte benedetta che conobbi Gil Scott-Heron.

Non chiedetemi chi fu il dj-messaggero di tanta mia gioia futura, nè tanto meno l'emittente. Avevo almeno tre radio preferenziali e non lo posso ricordare con certezza.

Perchè era appena partito l'attacco di QUESTA CANZONE.

Booom!

Fine di tutto.

La mente è catturata di colpo, poi lentamente, come nelle sabbie mobili: inutile far resistenza, qualsiasi movimento brusco tu faccia, peggiori la situazione, dunque la soluzione unica è solo lasciarsi INGHIOTTIRE, piano piano, come da una seducente pianta carnivora.

Allora ero del tutto ignaro di millemila cose, di ‘black’ proprio zero. O quasi. Sentivo il rap, quello Old School, quello militante diciamo della seconda ora (che ci fosse già stato un rap ‘della prima ora’ lo avrei scoperto ben dopo…).

E mi piacque, il rap. Oh sì. Rivoluzionario. Ma non ne carpivo manco un campionamento, manco mezzo. Gil Scott-Heron era uno dei Padri Nobili del rap, riverito Maestro dai miei eroi militanti di fine anni ’80. Manco questo sapevo.

Perciò rimasi pietrificato, come davanti a una Medusa del soul-jazz-funk (che ne sapevi, allora, di queste etichette?), nel sentire quel declamare profondo e bellissimo su base di piano elettrico (il compare e amicissimo dai tempi dell’Università Brian Jackson, cui il magnanimo Gil concedeva addirittura l’onore della compartecipazione in copertina). Un piano Fender lievemente sintetizzato. Ma come? Certo, mio giovane ignorante: ancora non avevi mai sentito, per dirne uno, uno qualunque eh, lo Stevie Wonder del periodo di grazia, perciò il tuo stupore di fronte a una musica che per te risultava aliena eppure…irresistibile. Vieppiù irresistibile.

Elementi di struttura: quel che poi avresti scoperto si chiamava ‘groove’, l’andamento in questo caso lento ma tremendamente sexy del ‘ritmo’. Il basso che pulsa come un ventricolo, la batteria che si incastra lì, suadente ma inesorabile, un punch alla bocca dello stomaco e un aggancio alle sinapsi del tuo cervello ancora ben funzionante, per non lasciarti mai (a fine corsa, per renderti più semplice la cosa e non abbattere in un sol colpo tutti i tuoi stilemi vacui: ecco, sì, arrivano i fiati, a incorniciare il continuo crescendo di tensione del brano. Chè va bene tutto, ma qualche certezza me la dovevi pur lasciare, no?…). È soul? È jazz tipo Herbie Hancock? È funk? Boh…è semplicemente forse tutto insieme ma certamente quello di cui hai bisogno, in quel momento.

E poi. QUELLA VOCE.

Sì: tre ottave sotto, bellissima, misteriosa, intrigante e seppure tu fossi alla ricerca di frescura, avvolgente e calda come il più affezionato dei tuoi maglioni di lana. Una voce che qui ‘declamava cantando’ (sì, un frammento senza basi del suo ‘cantare la voce’, credo oggi potrei riconoscerlo al terzo secondo) un testo DURISSIMO.

Si parlava del rischio di disastro nucleare, di una centrale che per tutti è fonte di energia ma che in un attimo può diventare rischio di morte e distruzione. Di una intera città e del suo territorio di Contea. Poi, per chi ci lavorava dentro, alla centrale, la danza macabra con la Grande Livellatrice era un tragico dato di fatto.

Quello che aveva detto Karen Silkwood, insomma.

Scoprirai poi che costui era ben di più (infinitamente, di più) di un semplice musicista.

Sapeva scrivere, liriche di una forza e di una capacità visionaria immensa complementari al pentagramma. Ma anche romanzi, che parlavano alla Nazione dei Neri e invitandoli all’azione, dopo il riflusso causato dalla Fine del Sogno di Pace & Amore.

MLK era morto, Malcolm X era morto e neanche NOI stavamo e stiamo molto bene, ci ammonisce il Poeta. Sebbene la Rivoluzione, che per Gil avrebbe dovuto essere DAL VIVO, in realtà non avverrà mai, o se avverrà, sarà repressa dal sistema.

Anche Gil, Poeta della Rivoluzione Mai Nata, Nemico Pubblico numero uno per la CIA e per i servizi segreti, finirà inghiottito nel riflusso e purtroppo nei suoi abissi personali.

Ma per me resterà sempre quello per cui, quella sera, la notte improvvisamente si illuminò e arrivò di colpo l’aria fresca.

‘Chi non sa far stupir, vada alla striglia’

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