Così in cielo così in terra.

In questo saggio gli autori, de Santillana e von Dechend, analizzano, destrutturano, indagano e stravolgono tutti i miti mondiali.
Eroi che si fanno protagonisti di battaglie epiche e gorghi che continuano all'infinito a macinare sabbia, grano e oro.
Tutto viene analizzato (forse) nella sua vera essenza. Più si avanza nella lettura e più ci si convince che non si tratta solo di leggende con giganti che ammazzano i loro genitori gettandone l'organo genitale nel mare, o di mitichi argonauti alla ricerca di chissà quale vello. Piuttosto che di un  frassino piantato nel centro del Maelström o grande gorgo o appunto IL MULINO DI AMLETO.

Tutti i miti portano sempre nella stessa meta: le stelle.
Se in una notte serena e limpida si ha la fortuna di poter osservare il firmamento da un luogo libero da ogni inquinamento luminoso artificiale si può comprendere come l'uomo antico sia stato fortunato.
La possibilità di poter, notte dopo notte, osservare i piccoli spostamenti di ogni astro deve aver smosso la curiosità dei nostri progenitori che, misuravano gli angoli di grado magari solo coi palmi delle mani piuttosto che segnarli con una pietra o un bastone, e non avendo ancora concepito un linguaggio matematico e scritto da poter tramandare ai posteri, scelsero la via più semplice:  il Mito e la Memoria.

Sembra quasi impossibile al giorno d'oggi accettare il fatto che gli antichi più antichi (grazie Frau n.d.r.) avessero la capacità di memorizzare quantità enormi di dati (codificati in miti) da tramandare ai posteri semplicemente imparandoli a memoria, la continua ripetizione di nozioni come se fossero un Mantra aveva lo scopo di poterle assorbire dentro se stessi, fino a farle diventare talmente antiche da averne completamento dimenticato il significato originale.

Eppure altri avrebbero duvuto capirlo ben prima del 1969 che tutti quei racconti e immagini raffiguranti dei ed eroi intenti a ruotare un enorme frullatore forse non erano da cercare in terra ma bastava alzare gli occhi al cielo e vederlo l'enorme spirale che tutto crea.

Il contributo più importante offerto dal libro è la spiegazione delle convenzioni tecnico-linguistiche con cui il mito veicola informazioni sul moto precessionale.
Esistono innanzi tutto tre semplici regole:

la prima implica che gli animali sono stelle-

la seconda che gli dèi sono pianeti-

la terza indica che i riferimenti topografici sono metafore per l'ubicazione, di solito del sole, nella sfera celeste

(grazie Sullivan n.d.r.)

Il saggio, di non facile comprensione,  è pieno di riferimenti alle più sconosciute culture mondiali, L'EDDA, SHAKESPEARE, l'ODISSEA, il KEVALA, l'epopea di GILGAMESH, il KEVALA, la MESOPOTAMIA piuttosto che il MESSICO PRECOLOMBIANO, tutto viene analizzato e scorticato fino a lasciarci dopo quasi 600 pagine sbigottiti e attoniti, con solo una domanda in testa: cos'è il tempo?

"A mio parere, quindi, la vista è alla base dei nostri più grandi benfici poiché non avremmo potuto dire nulla sull'universo se non avessimo mai veduto il sole, le stelle e il cielo.
Inoltre, è la percezione del giorno e della notte, dei solstizi e degli equinozi, dei mesi e degli anni che si susseguono, ad aver originato l'invenzione dei numeri e ad averci dato la nozione del tempo e della natura della realtà, da cui abbiamo tratto ogni filosofia, un dono celeste più grande del quale l'uomo non ha mai avuto né avrà."

Platone TIMEO

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