All'oratorio del paese, nei primi anni Duemila, i ragazzi più grandi sfoggiavano magliette su cui campeggiavano mostri, chitarre elettriche e scritte dal sapore misterioso per noi piccoli: Iron Maiden, Blind Guardian, Angra, Children of Bodom, Savatage. Era un primigenio incontro con una musica che era amore fideistico, liturgia identitaria, disciplina del branco. Un lasciapassare per entrare nell'adolescenza e poi nella giovinezza, una carta d'identità i cui connotati erano le fattezze dell'ormai familiare Eddie, o il nero pece dentro i cappucci di sacerdoti del male in tuniche mistiche. O ancora, le necrosi delle creature più orripilanti.

Se ascoltavi musica troppo pop, anzi bastava ci fosse un po' troppa melodia pur in mezzo a chitarre elettriche, ricevevi le puntuali staffilate dei più grandi. E allora accettavi il rito iniziatico, o almeno ci provavi. Metallica, amore immediato (e maglietta annessa), Death... non ancora, non sono pronto. Iron? Per forza. Gli Iron Maiden li ascoltavano pure le ragazze e le sentivi parlare sui polverosi campi da calcio di quanto bella fosse Dream of Mirrors. Quelli più grandi di qualche anno insistevano con l'ultimo disco, Rock in Rio. Era argomento onnipresente, insieme alle grazie femminee, e in qualche modo dovevi parlare quella lingua per essere preso in considerazione.

Anche questi elementi sociologici rientrano nelle traiettorie con cui è nato il mio amore per la musica. Ben presto abbandonati, in qualche modo quei dettami ritornano qua e là nel mio personale percorso. I Metallica li amavo di un sentimento mio, individuale, anche perché erano osteggiati dal gruppo predominante su in parrocchia. La loro fede più salda era nei Maiden. E allora il mio rapporto con la band di Steve Harris è sempre stato un po' dialettico, di amore e odio. Anche conoscere a memoria la discografia della Vergine di ferro non ti rendeva interessante, perché tutti la sapevano, fin nei recessi più profondi. Anzi, dovevi conoscere bene tutti i testi più importanti per guadagnarti un po' di rispetto. Life down here is just a strange illusion.

Insomma, non li ho mai sentiti davvero miei. Conosco bene qualche disco, il primo e ovviamente The Number of the Beast, ma con quella punta di freddezza verso i momenti più istituzionali. Per me suonavano un po' banali e leggeri rispetto alle sonorità dei Metallica. Con il tempo ho compreso la grandezza di pezzi come Hallowed Be Thy Name, ma mi sono soffermato anche su passaggi meno popolari come Remember Tomorrow e in generale i dischi con Paul Di'Anno. Poi negli anni ho concesso loro altre possibilità, ma ormai non per sacro fuoco di passione, solo per un gusto di completismo filologico. Ho apprezzato moderatamente i lavori della loro epoca aurea. Senza mai strabuzzare gli occhi. Purtroppo la vasta discografia non aiuta, ma un pezzetto alla volta si esplora. Tanti dischi e tanti brani dai nomi a volte simili, e la difficoltà di individuare una traiettoria di evoluzione e delle differenze sostanziali tra le diverse fasi della loro carriera rendendo il viaggio dell'ascoltatore un po' più complicato. Non sono affatto semplici da approcciare a posteriori.

Recentemente, l'illuminazione. Mi sono semplicemente innamorato, perdutamente innamorato di Seventh Son of a Seventh Son. Che prima conoscevo male, attraverso alcuni brani ascoltati nei dischi live, non capendo appieno le caratteristiche peculiari dell'opera. Bellissimo, e non servo certamente io a spiegare il perché. Chitarroni belli compatti, assoli a profusione, ma anche campiture colorate con i sintetizzatori, melodie che potrebbero ricordare a tratti i Queen e nel contempo qualche struttura tendente al prog. Non mi era capitato ancora di non annoiarmi proprio mai in un disco dei Maiden, non sento riempitivi e anche i brani “minori” hanno un perché in termini di melodia, di costruzione dei contrappunti. Mi piace da morire la sfacciataggine da classifica di Can I Play with Madness, i duelli e la velocità di The Evil That Men Do, e poco dopo il massimalismo della title track. Le chitarre sanno essere suadenti, d'atmosfera, o splendidamente rocciose. Il basso galoppa che è una meraviglia, senza mai essere autoreferenziale. Il suono è denso, più di prima, ma illuminato in modo differente, c'è grande nitore pur nella complessità delle architetture. Sparita l'ossessione di voler risultare costantemente truci e gotici. Per me è la sezione aurea della loro musica.

Lo ascolto a ripetizione da giorni, sono felice di aver trovato una passione vera, che sento mia, per una band che ho sempre sentito come di tutti e quindi di nessuno.

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