[Preambolo]

La vita è un quaderno da quattro soldi. Scrivi e cancelli, scrivi e cancelli, finché tutte le pagine si sono stropicciate e la carta deteriorata. Quei piccoli trucioli, che un tempo erano coperti dalle nostre speranze, sono sempre stati lì. Ascoltare questo disco è come guardare quel che rimane di quel quaderno, ed in esso specchiarsi.

E intanto schiumano le onde del mare del nord, sferzate dal libeccio.

[La morte ed il mar della Groenlandia]

(anzitutto, ascoltate)

Schiumano le onde del mare del nord, sferzate dal libeccio e dal maestrale.

Ti si congela il cuore, ad ascoltare Englabörn.

Sotto alla superficie, dove non penetra la luce, megattere centenarie vivono d’una vita che non conosce lo sferzare dei venti.

La luce filtra appena, ed ogni sciabordare dell’onda è placato.

E lo schiumare dell’onda intanto lassù taglia la faccia.

Prima di morire, Jóhann Jóhannsson è tornato ad Englabörn, come a chiudere il cerchio.

E lo sciabordare gelido del mare del nord leviga ogni asperità.

Ma il cerchio non si chiude, lo specchio è opaco. E resterà per sempre così, nella sua forma imperfetta.

Tiepidi gangli elettronici intanto avanzano. E lo sciabordare gelido leviga ogni asperità.

Jóhann Jóhannsson, nato sul far dell’equinozio di quarantotto anni prima, è morto nel febbraio del duemiladiciotto.

Un quartetto d’archi, tumido, ti cava fuori ogni peso dalle viscere.

Con in corpo droghe e medicine.

Irrefrenabile, leggero e terribile. Sembra persino di ascoltare il vichingo della Sixth Evenue.

Il suo cuore ha smesso di battere, tutto qua.

Ed un carme antico, da cui è svanita ogni umanità, si fa voce e lamento d’un capodoglio.

Ma di questo è meglio non parlare.

E lo sciabordare leviga ogni asperità.

Non è la morte a far grande la musica, ma il contrario.

(taci adesso, evita di dire altre cazzate)

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