La sofferenza è qualcosa di palpabile, che ti striscia dentro e lì si ferma, covando le uova con l’intenzione di restare. Durante la sua facile odissea la senti sulla pelle che striscia dentro, coinvolge la tua mente, coinvolge i tuoi organi, il tuo cuore, il tuo stomaco. I dottori li chiamano dolori psicosomatici. Perché questa sofferenza? La vita li prevede, li impone. Generalmente viene chiamato disagio adolescenziale, ma forse è qualcosa di più, qualcosa che si trascina per anni fino alla maggiore età, fino ai trent’anni e oltre. Ian Curtis non lo ha mai saputo. Non l’ha voluto sapere. Ventitre anni sono pochi per sapere qualcosa sulla vita, per sapere tutto. Eppure questo album, che appare come un quadro definito del dolore, sembra estendersi a ulteriori campi. Non parla solo di dolore. Parla di morte, ma anche di vita; parla di disperazione, ma anche di speranza; parla di tenebre, ma anche di luce, anche se la luce sembra scomparire (“New Dawn Fades”), e allora viene l’istinto naturale di annullarsi, la volontà di farla finita. La delusione e lo strazio monocorde per una relazione in declino si affaccia a più riprese (“mi sono candidato per nulla”, sembra quasi una triste e distaccata presa di coscienza su un amore morente). L’epilessia: convulsi suoni di basso e chitarra, una batteria febbricitante ma decisa nei colpi si uniscono in “She’s Lost Control”, si avverte il senso crescente di qualcosa che deve accadere, qualcosa che si sta spezzando, perché “lei ha perso il controllo di nuovo” e chi canta sa che potrebbe accadere anche a lui stesso. Una visione quasi religiosa del dolore fa capolino, poi diventa insistente (“ho camminato sull’acqua, corso attraverso il fuoco” “il sangue di Cristo sulle loro pelli”). Immagini esoteriche che prendono forma attraverso una voce catacombale, pochi accordi potenti degli strumenti: benvenuti alla cerimonia funebre. Ventitre anni troppo pochi, ma anche troppi. C’è sempre la memoria, il ricordo a fare compagnia e un futuro inesistente, in bilico su una fune di fumo. C’è sempre tempo per “ricordarci di quando eravamo giovani”, di soffrire, di rimuginare, di abbandonarci contro la poltrona, stanchi di essere stanchi, con i nostri pensieri che non muoiono mai. Per Ian non c’è più tempo. L’amore andato.

Carico i commenti... con calma