"Unknown Pleasures" mi fa paura.
È un disco che quando inizi ad ascoltarlo o scagli il lettore CD dal disgusto, oppure rimani intrappolato fino al suo ultimo secondo. Non riesci più a liberartene. Non pensavo fosse possibile riuscire a scrivere un album che parlasse così esplicitamente del desiderio di farla finita, esponendo un senso di rassegnazione, di sconfitta nei confronti della vita, con una lucidità che risultà inquietante, disarmante.
"Unknown Pleasures" parla di questo, e ci introduce a quello che l'anno dopo può essere considerato come il vero e proprio testamento di Ian Curtis, "Closer", album uscito in seguito alla sua morte. Già perche l'instabile leader dei Joy Division si era già suicidato. Come da programma verrebbe da dire, ascoltando la loro musica. Curtis canta come fosse stato privato della sua essenza vitale, delle sue emozioni. Un inizio migliore per l'album non poteva esserci: "Disorder" è introdotta da una batteria dal suono talmente ovattato da sembrare elettronica. Entra il basso, che inizia il suo vorticoso giro dal ritmo forsennato, e infine la chitarra lascia partire un riff che ti penetra fino all'osso. Alla fine di questa ansimante, trascinante cavalcata tutto si blocca. "Day Of The Lords" si trascina lenta e dolorosa, pesante come un macigno e le sue atmosfere tetre e angoscianti lacerano come una lama. Ormai è davvero come essere in trappola.
Un'altra perla è la splendida "Insight", caratterizzata da due intermezzi dove la pioggia di effetti ti fa sembrare di essere nel mezzo di un'esplosione interstellare. A metà del disco un vero classico del genere "Dark": "New Dawn Fades" raggiunge livelli di intensità emotiva incredibili, grazie soprattutto ai due riff in successione di chitarra, i quali trasmettono una sofferenza che si trasforma in un "piacevole malessere".
Questo continuo alternarsi, sovrapporsi dei riff di basso e chitarra, senza particolari virtuosismi è una delle caratteristiche che meglio contraddistingue la musica dei Joy Division. Il dolore viene espresso con poche semplici note; ma sono note ruvide, pesanti, affilate. Fino alla cupa conclusione di "I Remember Nothing" non c'è un attimo di pausa, un sottile fascio di luce. Si rimane circondati dalle tenebre, dai fantasmi che offuscano la mente depressa di Curtis. Fantasmi che non potevano essere descritti più schiettamente, ed è proprio questa schiettezza che fa rabbrividire.
L'ultima canzone finisce. Per un attimo manca il fiato...
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