In uno scenario di inizio nuovo millennio, dopo un bel "Jugulator" (1997), dopo che Tim "Ripper" Owens è riuscito a dimostrare di poter lottare contro gli acuti di sua maestà Rob Halford, i geniali ed imprevedibili inventori del Metal escono allo scoperto con questo "Demolition". Il disco in questione è considerato in assoluto il peggiore dei Judas Priest. A torto o a ragione? Andiamo a scoprirlo.

Il buon "Jugulator", contenente la possente "Cathedral Spires" e l'anthem "Burn In Hell", fu sottoposto ad aspre critiche da parte dei fan del Classic Heavy Metal, mentre una parte dei seguaci della band cercava di apprezzarlo, riuscendoci con molta fatica e commentandolo positivamente a denti stretti, e l’altra lo stroncava brutalmente. A quattro anni da quella mutazione genetica, che segnava il definitivo punto di svolta dall'ormai "polveroso" (si fa per dire) "Painkiller", che cosa mai ci proporranno KK e Glenn? A mio parere una discreta dose di Metal futuristico, appartenente ad un mondo dominato dall'industrializzazione e da macchine assassine di un'era tecnologica lontana. Potrebbe essere solo una personale impressione, ma sia i testi, che le serrate ritmiche di chitarra e batteria (ottimo Scott Travis), e le atmosfere nebulose e grigie, richiamano tutto questo da molto vicino.

Considero la strada intrapresa la naturale evoluzione di una band storica, che viene catturata dagli anni 90. Questo "Demolition" è inferiore al suo predecessore, ma non è assolutamente un disco da buttare. Certo che per un non-appassionato del nuovo stile risulta pressoché indigeribile. La struttura è più o meno simile per tutti i pezzi. Qualche intermezzo acustico, molta pesantezza e poca velocità, composizioni non statiche, ma troppi pezzi, e alcuni di questi decisamente troppo lunghi. Si apre con "Machine Man", che mostra tutto il nuovo sound dei Priest, dalle ritmiche Fear Factory, ad un testo pseudo Nu-Metal davvero imbarazzante. L'esuberanza dell'elettronica si sente in "One On One", mentre "Hell Is Home" è la prova del nove per Owens, che per attitudine e altezza raggiunta dalla sua voce, potrebbe essere considerato il Robert Halford del nuovo millennio. Superata. Se "Jekyll And Hyde" è l'esteriorità dei nuovi Judas, tutta pesantezza e zero sentimento, "Close To You" è il pezzo migliore del disco, un lento che sa trasportare grazie a gelide melodie, ed una voce sospesa fra un intimista Layne Staley e l'attitudine di un Owens che di classe ha da venderne. Pessima "Devil Digger" e tanto basta, noiosa fino alla fine, potente, ma della quale si può fare a meno. "Bloodsuckers" è il pezzo duro che si distingue, per l’ esperienza di musicisti di vecchia data che sanno ancora graffiare, per il riff rubato a "Painkiller" e per la massiccia dose di Nu-Metal.

La voce diventa molto calda ed avvolgente in "In Between", pezzo di base lenta con aspri cambi di tono, mentre "Feed On Me" è solo un Hard Rock tirato a lucido e pronto per il nuovo millennio. Sa tanto di artificiale. "Subterfuge" è la noia imperante, "Lost And Found" la ballata dallo scarso appeal di cui non si poteva fare a meno, molto senso pratico ed esperienza a servizio dell'inutilità. In "Cyberface" arrivano i Metallica del periodo tamarro, comunque con qualche trovata intelligente ed un suono moderno e accattivante. Un basso pompato e un titolo anthemico (passatemi il ridicolo termine) non bastano a trasformare "Metal Messiah" nell’inno per le generazioni metalliche future. Chiude "What's My Name", l'ennesima occasione per sparare bordate di violenza. Alla fine questo disco dalle sonorità mediocri fa venire in mente fabbriche, presse, saldatori, martelli pneumatici. Il metallo è anche questo.

È forse il peggior disco dei Judas per un fan dei Judas, ma cercando di dare un giudizio conclusivo obiettivo, la sufficienza viene raggiunta grazie a tanta tecnica, un grande cantante e qualche idea buona, ma interpretata con confusione, troppo mestiere e davvero poco sentimento.

Voto: 6

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