Musica maligna quella dei Killing Joke. Suoni da un mondo disperato, dove le scorie industriali non permettono più al sole di illuminare e dove anche i bambini hanno perduto l’innocenza. Chissà cosa accadrà oltre il muro dal quale scappano i ragazzini ritratto in copertina. Uno scherzo che uccide? Band tra le più innovative ed estreme della new wave inglese, i Killing Joke lasceranno con quest’album un seme malvagio nel mondo del rock che germoglierà più volte e sotto varie forme nel tempo a venire.
I colpevoli di tutto ciò sono Jaz Coleman (voce e tastiere), Kevin Walker (chitarra), Martin Glover (basso) e Paul Ferguson (batteria). Le menti perverse dei quattro, e in particolare di Coleman, partoriscono otto brani metallici scabri e dai ritmi spesso convulsi e nevrotici. L’esordio dei Killing Joke è cupo, immerso in una foschia tossica. I brani esalano vapori insani. Sensazione data oltre che dal suono abrasivo delle chitarre, da un uso mirato e strettamente funzionale delle tastiere.
A completamento dell’ opera le liriche apocalittiche di Coleman. Brani come “Requiem” e “Wardance” sono scolpiti nel rock dell’epoca, da segnalare anche “The Wait” e “Complications” in una scaletta però un po’ disomogenea come qualità. I quattro passeranno alla storia anche per i loro show dal vivo. Senza di loro gruppi come Nine inch nails o Ministry non sarebbero mai esistiti e di questo bisogna dargliene atto. Cinque stelle per un album che all’età di ventiquattro anni è oramai un classico.
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