A quasi due anni dall'ultima recensione scritta da me sul migliore asocial del mondo, entro, Altro, Scrivi una recensione.
Eccoci di nuovo. La voglia di recensire mi pervade.
Passo cinque minuti a scrivere il titolo della band e quello dell'opera, e verifico di aver scritto giusto.
Ok, ci siamo.

"L'opera che stò ecensendo è uscita da poco" (sic).
Fisso perplesso sullo schermo il quadratino che attende il mio click e mi fa l'occhiolino.

"Mah - penso tra me e me, - se parlassimo di un disco dei Tool forse ci potrebbe stare..."
No, non spunterò la casella, nonostante al momento in cui sto scrivendo siano passati solo sette mesi dall'uscita del disco che mi accingo a recensire, Avanti.

Eh sì, perchè oggi vi parlo di una band australiana tra le più prolifiche dei nostri tempi, camaleontica come una magica lucertola cangiante che cambia la tinta del suo rock ad ogni album, rimanendo sempre fedele alla sua forma.

Jalissiani fiumi di parole invadono la copertina di "Ice, Death, Lungs, Planets, Mushrooms and Lava", ventunesimo album di una band dall'altrettanto prolisso nome - King Gizzard and the Lizard Wizard - e dalla prolissa formazione - tre chitarristi/tastieristi, un armonicista/tastierista, un bassista e un batterista (rimasto da solo dopo l'abbandono dell'ex-secondo batterista nel 2020).

Strano a dirsi, questo disco è solo il terz'ultimo album in studio della band: nello stesso mese di ottobre 2022 sono infatti usciti altri due album, completamente slegati a questo come concept e modalità di registrazione.

IDLPMaL è un disco registrato in sette giorni nello studio privato della band, nel corso di lunghe jam session di circa otto ore l'una, e mixato dal frontman Stu Mackenzie che ha tagliato e assemblato le varie tracce selezionando, tra tutte le parti suonate da ognuno dei sei membri della band, quelle più innovative rispetto alla loro precedente produzione. Con l'eccezione del batterista, tutti i membri della band hanno contribuito a scrivere i testi.

Il concept dell'album è presto spiegato: durante ogni giornata di registrazione la band ha improvvisato seguendo un modo della scala maggiore al giorno.
Come? Non sapete di cosa sto parlando?
Tranquilli, per apprezzare a pieno questo disco è sufficiente una micro-dose di concentrazione, una dose un po' più grande di tempo libero e un bel paio di cuffie, di quelle grosse per audiofili (ma anche quelle col filo nella confezione del vostro smartphone andranno benissimo). E magari perché non uscire a fare due passi nella natura gaudente mentre vi ascoltate questo disco consigliato dal sottoscritto?

Dimenticavo: i testi del disco parlano della fine dell'umanità, di possibili catastrofi, di succose patologie, di astronomia e morte, il tutto condito da groove sincopati e riff ripetitivi che non vi faranno pesare troppo l'incombente apocalisse - quindi relax!

Per invogliarvi o meno a premere con me Play prima di iniziare la digressione traccia-per-traccia, è obbligatorio per me citare le influenze afrobeat e jazz-fusion che si sentono in ogni traccia, aggiungendo sapori esotici ad un impianto rock solido.


Inizio la parte saliente della recensione premettendo che non solo il nome della band e il titolo del disco: parlando di un disco di sole sette tracce, la durata è ragguardevole - parliamo di sessantaquattro minuti in totale.
Il primo ascolto potrebbe quindi non essere per tutte le orecchie, con durate dei singoli brani che oscillano tra i sei e i quattordici minuti.

Play! Il disco si apre con la prima traccia, "Mycelium", un cocktail a base di funghi, sax e groove reggae. Le puffose vocine in falsetto cantano di visioni allucinanti e sogni lucidissimi dalle loro casette fungose, seguendo birbantelle allegre melodie nate dalle spore della scala ionica maggiore.

La seconda traccia è "Ice V", è un bel funk dorico: la Gibson "diavoletto" col wha-wha, il piano elettrico elettrizzante e la batteria alla Fela Kuti. La voce narra l'arrivo della immortale principessa di ghiaccio dal petto senza respiro, giunta sul nostro pianeta per punire le genti, metafora fantascientifica di un possibile impatto della terza luna di Giove (Ganimede) contro la Terra. I refrain ("Ain't getting out of here alive, Ice V has arrived!", "Will we survive?") sembrano ironicamente rispondere al classico della disco-music di Gloria Gaynor con una bella dose di sarcasmo.

La terza traccia è in modo frigio, quello del flamenco per capirci: negativo, doloroso, che si ostina a darci false speranze.
Il testo di "Magma" descrive il trionfo del fuoco, il lento ed ostinato incedere del magma sopra ogni cosa, che solleva la roccia e schiaccia e disintegra la carne. Il basso di Lucas Skinner si unisce alla batteria dando struttura al brano, spingendo il ritmo e la melodia in un effetto endorsement che porta la tensione a crescere fino all'eruzione finale del brano.

Ed è appunto "Lava" quella che rimane sul suolo dopo l'esplosione di "Magma". Il quarto brano (in modo lidio) si apre con atmosfere eteree alla Bowie grazie ai legni (flauto e sax) che sembrano ululare alla luna in una radura segreta in un crescendo leggero che sembra l'esatto contrario di quello del brano precedente.
I tamburi selvaggi della batteria e un piano appena accennato accolgono la voce che, in adorazione, descrive le interessanti proprietà della lava, come a volerci fare vedere il lato buono della stessa medaglia cantata nel brano precedente: la vita causa la morte, ma anche viceversa.
"The volcano is death, the lava is death / death is life, the lava is life". In effetti, la lava è anche un ottimo fertilizzante.
Si tratta del brano più breve del disco. Da notare anche le influenze raga-rock nel groove di batteria e nel ripetitivo riff di chitarra.

"Hell's Itch", il quinto brano, è in modo misolidio, tra quelli più utilizzati nel rock classico in virtù della sua simultanea propensione ad atmosfere sia positive e allegre che negative e scure. Da un punto di vista musicale, il protagonista qui è il fenomenale batterista Michael "Cavs" Cavanagh che con le sue molteplici variazioni rappresenta alla perfezione l'ossessione senza posa di chi non riesce a... smettere di grattarsi a causa di un eritema solare (sunburn o hell's itch, appunto). Ovviamente, il testo è particolarmente scioccante e descrive bene le conseguenze del continuo grattarsi. Se vi piace il body horror di Cronenberg, gradirete il testo del brano!
Questa è la traccia più lunga dell'album coi suoi quasi 14 minuti. Forse l'incessante bisogno di grattarsi rappresenta a sua volta l'incessante bisogno di continuare a suonare di questa band in una lunga, lunga jam.

Sesta traccia, secondo singolo estratto e, per me, migliore brano del disco, "Iron Lung" ha l'atmosfera disperata tipica del modo lidio.
Il testo narra di un uomo chiuso in un polmone d'acciaio (cercate su internet per capire di che diavoleria si tratta) sfinito da una vita di noia e limiti che non gli riserva alcuna gioia tranne quando riesce ad evadere e a trovare un po' di serenità con... i funghi allucinogeni! Una sorta di "don't worry, be happy", insomma...
Il brano presenta un paio di strofe che si alternano al ritornello, seguite da parti strumentali abbastanza lunghe che si avvicendano in un altro crescendo: l'esplosione questa volta arriva con una nuova e inaspettata strofa cantata dal tastierista/armonicista Ambrose Kenny-Smith che sfrutta bene il suo range vocale particolarmente elevato grazie al blues che la sua voce riesce a trasmettere, prima che il brano sfumi tornando al ritornello e quindi si chiuda quasi in punta di piedi.
Gli assoli di chitarra saturi, distorti e compressi del baffo Joey Walker e del frontman Mackenzie ricordano a tratti le produzioni anni '60 e '70 di Santana, spogliate delle incursioni nel virtuosismo.

Il treno è deragliato, la fine è vicina: "Gliese 710" è l'ultima traccia, basata sul più dissonante modo esistente, ossia il modo locrio.
Avete presente il destino da incubo dell'umanità, le pioggie di sangue e il 90% degli assoloni violenti nel trash/death metal?
Ecco, si basano tutti su quella quinta che è detta la "nota del diavolo", caratteristica peculiare di questa scala musicale.
Le liriche descrivono la distruzione di un pianeta, uno con dell'acqua sopra (ci siamo capiti), contemplata con sguardo agrodolce da un osservatore lontano - mentre Gliese-710 è una stella che si ipotizza possa entrare in collisione col nostro sistema solare entro un milione di anni.
In questo caso, la band ci regala un brano dissonante e calmo in maniera sinistra. La tensione costante lo fa sembrare un misto tra la colonna sonora di un film space horror e quella di una detective story noir.
L'organo suonato da
Il tempo in 7/4 che varia in 9/4 verso la fine e la mancanza di una struttura "classica" del brano, in favore di una costante ripetizione del giro principale, rende questo brano il meno orecchiabile, ma anche il meno scontato.
Gli ultimi secondi del brano su disco ci fanno sentire la band che si prepara a suonare il primo brano del disco, "Mycelium", invitandoci a riascoltare il disco in un continuo ciclo.


L'ora abbondante di durata del disco è passata abbastanza velocemente, e forse non è bastata a me per scrivere l'interezza di questa recensione e a voi per leggerla tutta. Abbiate pazienza.

Per una band partita nel non-così-lontano 2010 a vent'anni, arrivata nel 2022 a suonare per ben tre date sold-out al leggendario anfiteatro di Red Rocks, Colorado, e a venticinque album in studio pubblicati ad oggi, questo disco è secondo me una pietra miliare che scandisce un nuovo picco della loro carriera.
Non so se lo metterei tra i dischi più importanti del 2022 rispetto a tutta la musica innovativa pubblicata, ma di sicuro è un disco da ascoltare ed apprezzare più volte.

P.S.: li ho visti a metà marzo 2023 all'Alcatraz di Milano e, ovviamente, mi hanno lasciato abbiastanza gasato.
Se ne avete la possibilità, fate un salto alla data del prossimo agosto a Padova.

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