Entità inclassificabile i Liars. Partiti con un album al tempo inscritto nel filone del punk funk, ma che già faceva presagire ben altro a venire, hanno poi preso una tangente di difficile descrizione (una manna, nella prevedibile scena rock odierna), vischiosa e di una tribalità quasi ancestrale.
Ammetto di aver ascoltato poco e male i due precedenti album, perché pur cogliendo l'assoluta libertà artistica propria, mi provocavano ripetuti sbadigli o mefistofelici incubi alla Cannibal Holocaust. Viste tali premesse, poco o nulla mi aspettavo da questo omonimo. E come capita spesso ultimamente, sono rimasto piacevolmente sorpreso.
Bisogna premettere che il difetto principale di "Liars" è la poca coesione del registro musicale, punto di forza delle precedenti opere. Il solito problema del mettere troppa carne al fuoco: quando le salsicce son pronte, la coscia d'agnello è cruda, e il petto di pollo carbonizzato. Focalizzare la visione musicale è importante tanto quanto la variazione del registro. Non voglio parlare di crisi creativa, i nostri penso siano immuni a tale malattia, semmai il contrario, un eccesso di idee, difficili da contenere in 40 min scarsi senza risultare ascolto altalenante per umore e qualità.
Come dare altrimenti un filo logico al trittico "Houseclouds/Leather Prowler/Sailing To Byzantium"? La prima una specie di pop ballad con batteria elettronica, in cui Angus canta come Beck (ve lo giuro!), la seconda un incubo sintetico e tribale, con tanto di martellante nenia vocale; la terza un improbabile dub con organo psichedelico. Stupisce dirlo, ma in tutti e tre i casi il risultato è ottimo.
Caratteristica più importante del disco è però il ritorno di sorella chitarra, chiusa nello scantinato con pedaliera e tutto dopo il primo album. E non parlo di una chitarra "accompagnamento", ma di brani in cui fa prepotentemente la prima donna, come negli assalti "Cycle Time" e nel singolo "Plaster Casts Of Everything", martellante bolide targato Stooges/Oneida, o nelle velvetiane "Freak Out" e "Pure Unevil". Sempre presenti i momenti trance ossessivi, lascito dei precedenti due dischi, percepibili soprattutto in "The Dumb In The Rain".
Per alcuni disco interlocutorio, fase di passaggio probabile fra "quei" Liars e quelli che verranno. Per me un disco schizofrenico, a cui non chiedevo niente ma da cui sto ricevendo molto in cambio. E mi basta.
Elenco tracce samples e video
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di Blackdog
Spietato. Violento. Improvviso. Dal basso la vita che ti circonda è un ralenti istantaneo.
Un elettroshock analitico, la catarsi del post-moderno che trova e uccide se stesso.