L'avevo sempre immaginata così disperata. Disperata e unica perché solo così pensavo potesse essere una storia d'amore. Certo, Roma non è Berlino e a quei tempi purtroppo non facevo uso di droghe. Ma poco ci mancò.

Avevo passato i vent'anni e i settanta non erano che un ricordo, poiché della mia vita di allora mi era rimasto nulla se non un pugno di dischi, quando conobbi Chiara. Friulana, amava la fotografia e, quando sorrideva, Roma, sorniona, si metteva sull'attenti per applaudirla tanto era radiosa nello sfoggiare la sua dentatura perfetta.
L'innamoramento fu tanto folle quanto repentino. Ero sorpreso ed allo stesso tempo spaventato: oltre qualche disco, gli anni settanta mi avevano lasciato un buco dentro ed una grande inquietudine. Come paranoico, passavo la maggior parte del tempo da solo, in casa ad ascoltare dischi o a camminare per ore senza meta. Non avevo stimoli nè aspettative e la mia vita cominciava ad essere un peso, un qualcosa andato a male e di cui liberarmi prima di impazzire del tutto. Sapeva di vecchio. Altro che una splendida opportunità!
A volte non dormivo per giorni.

Durò sette mesi, come le vite dei gatti che muoiono ogni trenta giorni. Sette mesi in cui la mia vita e il mondo intero sembrarono finalmente essersi allineati sullo stesso binario senza ritardi. Mi riusciva persino di ascoltare Leonard Cohen senza piangere. Ma arrivò luglio.

Era da pochi giorni passato il suo compleanno e, alla vigilia di un concerto dei Sonic Youth, mi lasciò con una telefonata che non ammetteva repliche.
Disperato, inforcai la mia vespa e corsi come un matto sotto casa sua per urlarle che l'amavo e non ero disposto a cedere. Mi appostai per ore di fronte al suo palazzo finché non la vidi uscire in compagnia di Gianluca, uno smorto trentacinquenne con in testa meno capelli e idee del sottoscritto e che per giunta avevo sempre odiato per la sua boria e le sue manie di grandezza. Artista quasi fotografo, si definiva. Uno stronzo. Mi avvicinai, gli mollai una testata e Chiara uscì dalla mia vita per sempre.
Perché riprovai a chiamarla, certo, ma di me non volle più saperne.

Avevo troppi problemi e non voleva esserne coinvolta. Era stanca di stare con uno che non faceva che recitare il ruolo del perdente. Avevo bisogno di una madre, non di una compagna. E se lei fosse, all'improvviso, morta? Come ne sarei uscito? Sembrava saperne più di me, sul mio conto. Di lei non mi resta che una fotografia.
Sprofondai in una terribile depressione e per molti anni la mia unica compagna è stata una bottiglia di whisky prossima al vuoto. Forse era l'unica cosa in cui riuscivo a rivedere me stesso. Oltre Jim.
Toccai il fondo.

Una sera misi su "Berlin". Fuori pioveva. Galleggiavo in una malconcia e impolverata poltrona di pelle ed al buio lo ascoltavo in religioso silenzio, quando capii. Avevo sbagliato. La testata era stata un clamoroso errore: avrei dovuto mollarla a lei.

Questa recensione è emozionalmente dedicata a Gianluca. Sei uno stronzo, ma mi dispiace per quella testata.

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