Per la gioia di molti ho modificato la mia prima recensione. Spero sia "leggibile" ora.

Anno 1986.

Dopo ben tre anni e mezzo dall'ultimo album "E già", disco di svolta sia a livello di sonorità che di testi (questi ultimi scritti dalla moglie Grazia Letizia Veronese, in arte Velezia), pubblicato dopo la fine del sodalizio col paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol, il "a detta di molti" cantautore Lucio Battisti, nonché cantante e compositore rietino - divenuto famoso durante la fine degli anni 60' e tutti gli anni 70' con svariati singoli e album di successo, tra cui "Il Mio Canto Libero" e "Una Donna Per Amico" - pubblica finalmente una nuova opera, destinata a cambiare il destino del pop italiano da quegli anni a seguire. All'uscita del disco vi sono due categorie di pensiero:
1) chi pensa che Battisti si sia montato la testa dopo la fine del sodalizio con Mogol - tanto che il cantante stesso aveva, in precedenza, mandato alcune "frecciatine" a quest'ultimo nell'album "E già", l'esempio migliore è nella traccia "Mistero" - non accettando questa ventata di aria nuova, colma di un synth pop e una new wave allegata a testi ermetici che rimandano ad un artista che, allora, era all'apice del successo, ovvero il ripostese Franco Battiato.
2) chi pensa che le musiche di Battisti siano eccelse - Francesco De Gregori ne uscì pazzo al primo ascolto - che i testi del nuovo paroliere e poeta Pasquale Panella siano d'effetto e che l'album sia avanguardia pura. Un disco che, assieme agli altri quattro famosi "album bianchi" a seguire, verrà capito solo a venti/trent'anni dalla sua uscita.

Quello che segue è il mio pensiero.

L'album è avanguardia? Sì. Tutt'oggi i fan lo riconoscono come tale? Non tutti. C'è ancora chi lo ripudia? Certamente. Quindi: come mai questa parte di discografia di Battisti, quella con Panella come paroliere, non viene mai menzionata nei TG quando si parla di Battisti? Perché non si fa accenno a brani come "Le Cose Che Pensano" o la stessa "Don Giovanni"? Probabilmente il disco fu ed è tutt'oggi sottoposto ad una censura mediatica - nonostante le fortunate 250.000 copie vendute - specialmente per superficialità, poiché ai fan del Battisti di "Un'Avventura" non piace esplorare nuovi confini. O probabilmente in molti credevano che Battisti fosse morto musicalmente nel 1980 con "Una Giornata Uggiosa", ultimo album del periodo Mogol, e quindi avevano lasciato perdere sin da subito.

Vado, perciò, a elencare ogni canzone punto per punto.

  1. "Le Cose Che Pensano". L'introduzione del disco è accompagnata sia da "nascenti" sintetizzatori, sia da un graffiante pianoforte. A seguire una batteria tipica degli anni 80', quindi un sound riconoscibile: l'atmosfera è romantica, sebbene la voce di Battisti e il testo rimandino al dolore provato per l'amor perduto, per un amore che attinge al nome di straniera - "come stai, ti smemorai / ti stemperai e lei come sta / la straniera, lei come sta" - e che verrà ricordato nell'unico posto degno dei ricordi, la mente. La voce di Battisti è un eco del Battisti passato con la particolare novità di una voce diversa: difatti, di album in album, la voce del cantante diventerà sempre più monotona, robotica, inumana, virtuale. Alla sua voce si sposa un clima denso di vivacità e al contempo di malinconia, degne di una chiusura magistrale, con un coro R&B molto presente nel disco e una leggera suspence sul finale. Panella ci presenta un testo pieno di riferimenti al passato remoto, metodo che prende fiato in altri modi nelle prossime tracce.
  2. "Fatti Un Pianto". Segue, allo struggente inizio, una traccia energicamente carica, come fosse una traccia di ripresa emotiva. In questo brano, Panella associa l'arte della cucina all'amore, decostruendo e ricostruendo il tema dell'amore da capo evidenziandone particolari allusivi: "da un chilo di affetti un etto di marmellata / se sbatti un addio / c'esce un omelette / le cosce dorate van fritte / coi sorrisi fai i croquettes". Battisti personifica il brano caratterizzandolo da uno stile pop rock, associato come sempre al synth pop ma anche ai fiati, un esempio sono i due notevoli assoli di sassofono all'interno del brano. Una nota particolare: il brano pare abbia qualche assonanza con un altro brano degli Audio 2 - duo cui il cantante aveva la voce molto simile a quella di Battisti - ovvero "Sono Le Venti", del 1995.
  3. "Il Doppio Del Gioco". Un notevole groove di basso introduce il brano. Le liriche di Panella assumono le caratteristiche acrobazie a mo' di giochi di parole e doppi sensi: " son lenti affluenti / i suoi pianti a dirotto / son diamanti striscianti che il silenzio hanno rotto". Da notare come certi versi assumano la musicalità degna dei migliori testi decadentisti, con effetti sonori attaccati l'uno con l'altro. I cori battistiani sono presenti e sembrano esprimere metafore panelliane molto ricorrenti, le quali terminano la canzone con echi che ripetono le strofe affibiate.
  4. "Madre Pennuta". Questo è sicuramente uno dei migliori brani che Battisti abbia mai composto. Un mix di synth pop, new wave, avant-pop e musica sperimentale; tutti questi generi musicali in un solo brano. Qualsiasi strumento è di rilevanza: dall'immensità della batteria - ricordiamo essere una drum machine - alla potenza dei sintetizzatori, fino ad arrivare agli archi che sembrano riportare Battisti in un universo alternativo: è come se il cantante stesso stesse esordendo nuovamente con un nuovo stile di canzone, senza fare caso al fatto che alcune delle canzoni del disco siano costituite da una struttura diversa dalla forma canzone - cosa che sarà più evidente dal disco seguente, "L'Apparenza" - ed è come se la musica leggera, unita all'avanguardia pura, lo stesse facendo esprimere al meglio. Battisti è gioioso e questo è certo: inoltre, è spaventoso quanto sia totalmente irriconoscibile la sua voce all'interno di questa canzone. Vogliamo parlare della magnificenza del testo? Ermetismo puro. Suoni e immagini di tutti i giorni come "un tir che si ritira" o "il sole al nadir" incrociano l'infanzia del cantante: " finita la storia / e caduto l'impero / di vivere dal vero / ecco me di anni tre". Ovvio il parallelismo con la decadenza della seconda guerra mondiale e gli anni di Battisti. Eppure, se dobbiamo essere proprio tecnici, a fine guerra Lucio non aveva nemmeno due anni: chi lo sa? Sappiamo solo che i due hanno partorito una canzone nucleare, piena di ritmi tribali iniziali e preponderante di un'elettronica pura che persiste per tutta la durata della canzone.
  5. "Equivoci Amici". Personalmente considero questa traccia una delle più belle e anche una tra le più sottovalutate non solo del periodo Panella, ma dell'intero repertorio Battistiano. Quella che ci viene presentata è una sfilza di nomi ambigui, sperimentazione (da parte di Panella) di giochi di parole: "uno andò saldato / uno vive all'estro / uno s'è spaesato / uno ha messo plancia / e fa il trans-aitante / uno fa le more / uno sta invecchiando / perché è / un nobile scotch". In mezzo a questa cavalcata di surrealismo si mischiano i meravigliosi virtuosismi di Battisti, che farebbero invidia al giornalista che, in una puntata di "Per Voi Giovani" del '69, reputò la sua voce non gradevole. Il riff di synth finale è sicuramente una delle cose più belle mai ascoltate in queste disco e non. Questa traccia, inoltre, la ritengo un anti-tormentone: è costituita da una musica viva nel suo genere alternata ad un testo completamente folle che riduce, in un attimo, il suo "impatto" da brano commerciale. Forse è per questo che la considero speciale.
  6. "Don Giovanni". Ora è il turno della temuta title track. Un ritmo di batteria minimale - tre kick e due beat ripetuti all'infinito - e un'atmosfera orchestrale (che fanno del brano due interpretazioni, ovvero un rimando a Mozart o la figura in sè) vanno a costituire una delle opere massime di tutta la discografia Battistiana e probabilmente uno dei migliori brani della musica italiana. Fosse stata presentata al Sanremo di quell'anno avrebbe sicuramente stravinto. Utopia a parte, il testo mette a risalto il confronto col passato del cantante da "fumista", specializzato nell'accogliere il fumo inalato dalle parole di Mogol, parole che non gli appartenevano ma che aveva cantato per una decina d'anni. Queste liriche sono il testamento da accomunare al vecchio Battisti, colui che "riveste quello che vuole" perché amato da tutto e tutti, un semplice ragazzo che ama la musica e che viene amato, a sua volta, per le sue produzioni. Tuttavia, Battisti è sempre stato un cantante a metà, un fumista che sin da sempre si è dovuto rivolgere a colui che spargeva il suo fumo, e Panella è colui che ha dato vita alle sue parole, rendendo ancora più difficili, di comprensione, le volontà e i significati dei testi. "Che ozio nella tournee / di mai più tornare / nell'intronata routine / del cantar leggero / l'amore sul serio". Queste sono frasi impossibili da dimenticare, frasi cantate da un interprete che appallottola il suo passato, o perlomeno alcune cose che l'hanno caratterizzato, gettando nel cestino l'immagine di cantante da musica leggera che tutt'oggi i media continuano a dargli. Il Battisti vero e proprio non è quello che parla continuamente di amore perduto, ma colui che, sperimentando nelle profondità dell'essere umano, va a cercare una melodia da associare ad un testo che, con calma, poi verrà capito; di certo Battisti ha continuato a parlar d'amore, ma in diverso modo. Questo è il motivo per cui gli album bianchi esistono, ed questo è il motivo per cui molti dei fan di vecchia data si son sentiti traditi da questa sua nuova faccia, la Vera Faccia di Lucio Battisti, lo "scorbuitico di turno" colui che, negli ultimi di anni di vita, non degnava di fare autografi o foto con i fan perché, come detto da Battisti stesso in una sua ultima intervista in radio: "un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L'artista non esiste. Esiste la sua arte.".
  7. "Che Vita Ha Fatto". Questa è la prima traccia che mi ha fatto appassionare del Lucio post-Mogol. Ci sono rimandi jazz iniziali che sfociano, soprattutto durante la parte strumentale, ad un intenso assolo orchestrale che unisce in modo affascinante i fiati e gli archi con il synth pop, un qualcosa che ho sempre amato: l'elettronica, musica generata dall'uomo, si "accoppia" con il suo genere iniziale, il genere madre di tutti i generi creati dall'uomo, la musica orchestrale che, al contempo, sembra fungere da musica classica. E infatti è come se Battisti stesso diventasse un capostipite del suo genere, un Mozart del pop avanguardista. Anche qui non mancano giochi di parole panelliani con un forte uso del passato remoto: "lei m'amo, tu l'amasti, io no / i verbi la tradirono / che c'entro io".
  8. "Il Diluvio". A concludere il disco è una traccia che si contraddistingue dalle altre per la lunga introduzione, cosa che Battisti abolirà nei futuri dischi seppur con rare eccezioni. Qui vi è una vivace descrizione della pioggia che scende verso gli ombrellai che "hanno la fortuna" di possedere ombrelli con cui ripararsi. La musica che descrive tale scena si converte in un suono simile a quello della pioggia, è come se si tramutasse. La voce di Battisti rimanda al Battiato in voga in quegli anni e conferma la somiglianza di sperimentazione tra i due artisti. La traccia si conclude con un suono astrale che parla direttamente all'ascoltatore: il viaggio pieno di sfumature, iniziato con un tragico ricordo, è finito con il suono che accompagna i giorni nostri, la pioggia. Ed è così che si conclude "Don Giovanni", a parer mio, uno dei migliori dischi di tutti i tempi.

Come già detto nella mia introduzione, "Don Giovanni" sconcertò la critica e a molti fan non piacque il disco per il suo impatto, anche se lo stesso nipote di Battisti, Andrea Barbacane - il quale su YouTube ha un canale dove pubblica, o pubblicava, video su suo zio Lucio - ha ammesso "Don Giovanni" è l'unico disco veramente ascoltabile del periodo post-Mogol, probabilmente perché è il primo ed unico, assieme a "E già", che unisce la sperimentazione Battistiana attiva sin dai tempi di "Amore E Non Amore" con la voce di un Battisti commercialmente ascoltabile. E invece no. Ho dimenticato, infatti, di dire la mia impressione riguardo gli arrangiamenti e il sound del disco: i primi sono spaziali, di un'altra galassia direi... se penso a "Madre Pennuta" mi immagino gli alieni ad ascoltarla. Per quanto riguarda il secondo vorrei esprimere una mia interpretazione. Considerando che i testi di Panella sono al di là dell'ermetismo probabilmente, ripeto è una mia opinione, Battisti ha voluto rendere il tutto volutamente incomprensibile. La traccia che mi ha portato a questa tesi è "Fatti un pianto", dove le strofe finali sono quasi criptici, poiché gli arrangiamenti vanno a sovrastare il cantato di Battisti. Alcuni hanno addirittura ipotizzato che la dizione di Battisti non fosse adatta a mantenere in piedi testi simili, ma secondo me è un effetto voluto, anche perché in album successivi accadrà la stessa cosa, ma in vesti diverse. Basti pensare a "Così Gli Dei Sarebbero" dell'album "CSAR", possibilmente il brano più difficile del periodo post-Mogol che, nonostante tutto, rimane indecifrabile anche ascoltando accuratamente la musica e il testo. Forse, però, sto mettendo due album diversi a confronto, perché mentre "Don Giovanni" è l'inizio di una nuova fase della vita di Battisti - consideriamola una rinascita - "CSAR" è una parte molto oscura, quelle con cui devi sbatterci la testa notte e giorno per capirne gli intenti.

Il mio consiglio è quello di ascoltare l'album più e più volte, ma non solo "Don Giovanni" bensì tutti i dischi bianchi, album sottovalutati poiché ritenuti incomprensibili o "diversi" dalla discografia con Mogol. Comunque non fraintendete: anche a me piacciono i testi di Mogol, ma preferisco ovviamente quelli di Panella. Inutile dire che qui il genio fra i tre sia Lucio, perché lo si sa.

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