Don Giovanni (1986), più che come una rottura rispetto al passato si presenta come una rinnovata sintesi di un percorso di esperimenti; siamo nel momento più creativo del processo di decostruzione del linguaggio canzone che era già iniziato negli anni '70 e che avrà il suo punto di non ritorno nelle devastate macerie pop del sublime "Cosa Succederà Alla Ragazza" (1992).
Il nuovo album appare nei negozi 4 anni dopo "E Già" e subito si capisce come questo periodo sia servito a elaborare la radicalità delle sperimentazioni contenute nell’LP precedente: ai gelidi suoni elettronici che nel 1982 tanto avevano scandalizzato i nostalgici, vengono affiancati quelli reali di una vera orchestra in un impasto dal gusto decisamente ironico e postmoderno perfettamente in linea con i testi di Pasquale Panella.

Il linguaggio del nuovo autore frulla infatti continuamente scherzetti da settimana enigmistica (nel testo del brano che dà il titolo all'album c'è la soluzione del rebus della copertina), citazioni sparse di varia natura, nonché riferimenti al nuovo rapporto simbiotico nato fra Battisti e il suo Doppio, Panella (l'artista non sono io, sono il suo fumista), con un'ironica consapevolezza della portata rivoluzionaria dell'opera (dopo di noi, il diluvio).
Grosse novità si trovano anche nella composizione dei brani che spesso sono strutturati secondo una tecnica a incastro simile al cut-up che stravolge completamente i classici rapporti fra strofa, ritornello e inciso.
Le canzoni sono anticonvenzionali e liberate da schemi formali, fra ritmiche sintetiche e spigolose, e improvvise aperture orchestrali degne del passato più sinfonico e tradizionalmente melodico del Nostro.
L'umore dei brani scivola senza soluzione di continuità fra atmosfere vagamente cinematografiche/inquietanti e momenti ora divertiti ora più lirici e più in sintonia con la tradizione della ballata battistiana, senza che però le citazioni si facciano mai pesanti o che spunti un senso di già sentito.
È forse questo il regalo più grande che è stato capace di fare Don Giovanni a chi lo ha ascoltato fin dalla sua prima uscita: non assomigliare a nessun'altro album né di Battisti né di altri, né del passato, né degli anni successivi.

Si tratta di un'opera figlia del suo tempo, è ovvio, e quindi certe sonorità possono apparire datate, anche se ad ogni nuovo ascolto è impossibile (almeno per chi scrive) non rimanere sedotti dalla riscoperta di una dissonanza, di un contrappunto ritmico, o di un intarsio strumentale che era sfuggito all'ascolto precedente. Ed è altrettanto impossibile negare l'originalità del progetto, tanto che nessun altro, nemmeno Battisti, ha saputo sviluppare pienamente le idee presenti in questo disco con altrettanto equilibrio fra densità e leggerezza.

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