“A free/punk/funk/experimental/psychedelic/post electronica collective..”

Chi conosce le insane frequentazioni di Marc Ribot ha sicuramente ben presente l’elevato tasso di chitarristica camaleonticità riscontrabile nel Suo multiforme viatico artistico: tra estemporanee e significative collaborazioni (dalle milla-e-una-follie Zorniane alle rantolanti gutturalità Tom Waitsiane, traversando per Capossela e Costello) e bislacchi progetti in proprio (Cubanos Postizos) sì è sistematicamente barcamenato tra entità e situazioni distanti anni luce l’una dalle altre.

A conferma di detto assioma giunge all’inizio del presente anno solare cotanto multiangolare manufatto: un 'Cane in Ceramica' intorno al quale Ribot, grazie anche all’ausilio di “two of the best young players on the New York/California underground improv/experimental rock scene, Shahzad Ismailly (bass) and Ches Smith (drums)” raduna, mescola e strapazza materiali sonori di diversificata natura che definire apparentemente inaccostabili è voler essere tutt’altro che smargiassi.

Dalla folgorante ouverture (una caustica rilettura della Doorsiana “Break On Through”) al (finto)rock-à-rotta-di-collo della conchiusiva “Never Better”, si assiste a una multiforme serie di bizzarrie assortite - dall’ultraPOP con tanto di improbabili coretti “la-la-la” di “Todo El Mundo Es Kitsch” alle quadrate traiettorie Devo-oriented del lungo excursus “Digital Handshake” - in un susseguirsi di talvolta esuberanti, più o meno cacofoniche frattaglie per un lavoro chè definire, a tratti, strumentalmente avvincente è poca cosa.

Chi non lo conosce, beh... se lo ascolti!

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