Ormai si puo dire, Marina Diamandis è la vera sorpresa del 2010! Il suo debutto "The Family Jewels" prende nettamente le distanze dal mare di spazzatura USA (e getta) che vede nelle varie Kelis, Madonna, Akon, Justin Bieber (sigh) i maggiori esponenti attuali. Eh si, con buona pace del lettore radical-chic magari convinto di trovarsi di fronte ad una di quelle band alternative dal nome strampalato, Marina & The Diamonds (band fantasma che per inciso non esiste, è chiaramente un gioco col cognome) è il classico progettino pop, magari rivestito da quella ricorrente attitudine indie-snob tipica del made in UK, ma fondamentalmente di pop trattasi, ed anche di ottima fattura.
Vintage ma attuale, citazionista ma personale, oldie ma dal sound freschissimo. Che però si rivela essere soltanto un piacevole contorno, essendo il tutto incentrato sulla singolare e bizarra voce di questa venticinquenne gallese di origine greca, che dalla sua oltre la rinomata bellezza dell'ibrido, il delizioso accento inglese misto all'attitudine folk-est-ofila greca, sfoggia un registro drammatico-teatrale capace di grandi acrobazie canore, talvolta fin troppo fuori luogo nel contesto, connotati vocali a cavallo tra Kate Bush (a cui è stata più volte paragonata), la Regina Spektor più kitsch, le vocal movenze mascoline di Annie Lennox e la grande Siouxsie Sioux. Bel mix no?!
E' chiaro come la graziosa Marina dall'alto di queste buone capacità vocali potrebbe (dovrebbe) osare di più con prodotti ben più "seri": vista la sua caparbietà e la voglia di fare che la contraddistingue non escludo possa avvenire in un secondo tempo, ma per il momento va bene cosi, perchè si da il caso il suo sia un ottimo esordio, uno di quei dischi ok facilotti, ben confezionati, arrangiamenti ultracurati (tra i collaboratori anche Liam degli Sneaker Pimps e Greg Kurstin dei The Bird and the Bee, già a lavoro con Devo, The Flaming Lips, Red Hot Chili Peppers), ma dal repeat dannatamente facile. Tutto cosi perfetto, senza la minima sbavatura, senza nemmeno l'ombra di quell'autotune così tanto in voga ultimamente (tanto da uscirsene con un "Guess what? I’m not a robot!"), che un po fa sorgere il dubbio se la Diamandis ci è o ci fa. Tutto studiato a tavolino? Anche fosse chissenefrega, è un bel disco e questo conta. Va detto che in controtendenza al target pop la nostra si fa comunque da sola, si occupa di tutti gli strumenti a corda (piano, glockenspiel), si scrive testi ed arrangiamenti da sè, esce dal doityourself 2.0, quindi myspace, youtube e decine di demo web-diffuse che l'hanno subito messa in luce come la nuova (ennesima?) next big thing inglese. Il radical chic puo tirare un respiro di sollievo, salvo magari poi ricredersi quando saprà del suo successo in UK, dalla stampa (bbc e guardian su tutti) che la esalta, del suo, argh, desiderio di "divismo" tipico di merce pop-da-classifica.
Ma occhio lettore radical-chic, aspetta a passare alla pagina dei Baustelle, perchè "The Family Jewels" non è soltanto semplice "pop da classifica", è molto di più. Un piccolo gioiellino che mette in luce un artista valevole e talentuosa. Molto di più del primordiale post-grunge alternativo che ti spari nei live dei Maurizio Costanzo Dorme, o i Menomalechesilviocè.
Influenze new-wave, atmosfere barocche, tastiere anni ottanta: lei ci tiene a chiamarlo pop sperimentale. Magari un po azzardato, ma nemmeno troppo. A voler citare il mondo il disco si snoda tra il più classico e sfacciato indie-pop britannico stile Kate Nash ("I'm Not a Robot" -dall'andamento molto scenografico su una solida base piano-fiabesca molto Amos-, la deliziosa Spektor-esque "Mowgli's Road" -massimo momento di espressione della nevrotica voce-, i toni maestosi di "Hollywood"), e una sorta di art-pop-dance dagli arrangiamenti iper tastierosi molto Abba con archi e fiati molto motown e il classico ritornello impossibile da togliere dalla testa ("Are You Satisfied?" -la voce "spezzata" sarà una ricorrente-, il fascino melodrammatico di "The Outsider"). Qualche momento più serioso come gli esperimenti ritmici di "Guilty" o la stramberia vocale di "Obsession" vanno a pareggiare con altri dal sound decisamente più frizzante quali l'elettropop di "Shampain" (curioso l'accostamento tra suonetti 8 bit e flautini) e il folkettino fisarmonico di "Girls" (echi delle Pierces ma con una presenza vocale che quest'ultime si sognano).
E' però con l'epicità orchestrale di "Numb" che si tocca il momento massimo dell'album: via la posa pop, via l'easyness, via i toni scanzonati: il canto broncioso e i toni plateali di Marina quasi fanno dimenticare del pur magico arrangiamento cucitogli addosso, ed è proprio con questo brano, strategicamente penultimo, che scatta quella scintilla che fa convincere di trovarsi dinanzi ad un piccolo "gioiello".. non di famiglia ma della stessa Marina, una ragazza da tenere d'occhio che sono sicuro destinata a grandi cose. Raramente mi sbilancio con aggettivi entusiasti per dischi comunque "nella norma", ma credimi lettore radical-chic, questo disco pur essendo "undiscocomunquenellanorma" è fantastico. Non un solo brano deludente tra i 13 proposti.
Ok dai, un difetto c'è: la copertina: veramente inguardabile, sembra Beyoncè. E Beyoncè mi sta sul cazzo. Lei invece.. la adoro già!
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