Se vi erano piaciuti, nel 2004 con il quanto meno curioso "Woodland Prattlers", con questo "Creepy Tales For Freaky Children", questi quattro pazzi giovani moscoviti, che rispondo al nome di Mechanical Poet, vi faranno davvero impazzire.

Un pochino di storia della band, credo sia d’obbligo: il gruppo si forma nel 2002 a Mosca e l’attuale line-up è così divisa:

Jerry Lenin – voce

Lex Plotnikoff – chitarre e tastiera

Serge Khlebnikoff – basso

Vladimir Ermakoff – batteria

Musicalmente il complesso ci pone davanti ad uno stile musicale davvero curioso, quasi strano in alcuni frangenti, plasmando un genere che racchiude in se momenti di hard rock/progressive ad altri quasi jazzati, senza mai rinunciare ad importante venature gothic che donano alle varie composizioni un mood leggermente malinconico, che riflettono per altro la passione (riscontrabile nelle liriche delle canzoni) per il cinema noir, i dark-comix ed un senso dell’humour oscuro, quest’ultimo che marca le musiche dei nostri, sempre leggere ma sulle quali aleggia un senso quasi di “malignità”.

Il platter in questione è suddiviso in dodici pezzi più altri quattro nella versione (di cui sono in possesso) russa: la durata delle composizioni si attesta sempre su una lunghezza medio/bassa, il che rende il disco più piacevole e scorrevole e permette alla band di non perdersi in virtuosismi sterili, restando sempre invece molto più concentrata sulla musica, quella vera che conta: esempio di quanto detto può essere riscontrato in pezzi come “Lamplighter” (traccia numero 8) che con i suoi 4 minuti e 55 secondi risulta essere una delle più lunghe e presenta al suo interno un buon numero di virtuosismi, ma tutti al servizio della musica e della melodia, vero punto focale dell’ album. Splendido poi sempre nel pezzo l’aggiunta del solo di sax che impreziosisce.

Da citare anche il secondo episodio che risponde al nome di “Urban Dreams” nella quale si nota un eccellente utilizzo delle tastiere che danno un senso quasi futuristico alla composizione; altro punto di lode va sicuramente al comparto ritmico, presente ma mai invasivo, con un basso in primo piano e una batteria che compie un lavoro encomiabile risultando sempre molto varia.

Divertentissima “Dolly” che risulta quasi essere recitata più che cantata e che narra della storiella di una ragazza, Sally Hudson, che porta con se in un viaggio una piccola di sette anni, Dolly per l’appunto e che non tiene d’occhio perché troppo grande per perder tempo a giocare con le bambole; vi consiglio di dare un’occhiata alle liriche di questa canzone, vi faranno capire come al di sotto di un fine senso umoristico vi sia poi dietro un mondo che non esiterei a descrivere come mostruoso.

Da ascoltare poi, per chi riesce, i pezzi in russo, presenti comunque anche in inglese, che grazie all’utilizzo della lingua madre rendono meglio, entrando in una dimensione quasi folk: le tracks in lingua russa sono “Zhizn', Smert' I Vechnj Gorod”, “Poslednji Fregat” e “Prizraki Starogo Teatra”, che corrispondono rispettivamente a “Vesperghosts Of Milford Playhouse” (introdotta da un pezzo di musica tradizionale), “The Afterguide” (quella maggiormente influenzata dalle venature gothic grazie alle partiture di tastiera) e “The Dead, The Living And The City”, anch’essa come la track menzionata precedentemente dotata di un mood più oscuro, il tutto calato in una dimensione più soft.

L’ascolto di tale lavoro, per quanto ad alcuni forse potrà risultare un poco ostico, è quantomeno obbligatorio in quanto, è anche grazie ai Mechanical Poet che il progressive può non definirsi un genere stantio e morto, risultando una band fresca ed originale che dal punto di vista compositive/tecnico non ha proprio nulla da invidiare alle più blasonate formazioni del progressive odierno.

Ultima cosa, un ulteriore punto di interesse è sicuramente il booklet splendido, disegnato ancora una volta dal genio di Lee Nicholson, che risulta essere un ulteriore valore aggiunto di questo lavoro di elevata caratura.

 

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