I Metallica rimangono a piedi, il tour-bus si rompe e cercano un passaggio, Otto guidatore del pulmino scolastico, grande fan del gruppo non crede ai suoi occhi di poter incontrare i suoi beniamini per strada. Ma viene scambiato per un poser e i quattro di Frisco decidono di farsi dare un passaggio dall'Uomo Talpa al tempo grande fan del gruppo e a quanto pare ex love-boy della nonna di tale Lars Ulrich, ripartendo così a tutta birra sul pickup del loro adorato affecionados...

Se anche un mezzo genio creativo come Matt Groening dopo aver regalato citazioni e fatto apparire guest star di valore talvolta opinabile come R.E.M. e Blink-182 durante i suoi episodi della famiglia in giallo più famosa d'America, più che ventennali, ha dato spazio pure a una delle rock band più famose al mondo, tramite un piccolo cameo, capisci che ti aggradi o no la ricetta sonora dei quattro ex capelloni, non puoi non dire di non aver mai sentito parlare o ascoltato anche per un frammento della tua vita le loro proposte o non venuto a conoscenza delle loro celebri vicende extramusicali.

Tant'è che negli ultimi anni dai bar di periferia, il sostantivo Metallica associato al predicato verbale cambiamento e collegato all'oggetto fama e soldi deve essere all'ordine del giorno nelle discussioni di un qualunque metalhead, forse sopravanzato solo da disquisizioni e sospetti passati sulla Rubentus e sull'era Moggiana ormai giunta al tramonto.

"Master Of Puppets" può vantare il quartetto base classico e storico del combo (come potrebbe essere Mustaine-Friedman-Ellefson-Menza per i Megadeth) con Burton qui per l'ultima volta chiamato a dar man forte prima della tragedia.

Allegria e solarità, epicità e gloria sono gli aggettivi che si addicono alla doppietta iniziale e rispettivamente "Battery" (intro acustico dal retrogusto spagnoleggiante) e la title-track "Master Of Puppets". Su quest'ultima assolo in clean da pelle d'oca, che poi riporta la composizione ai livelli speed iniziali, con una parte strumentale dopo il secondo assolo da brividi. Entrambi i pezzi senza dubbio finirebbero nella compilation ideale del thrashers duro e puro insieme alle varie "Holy Wars", "Hangar 18", "Over The Wall", "Catch In A Mosh", "Trial By Fire" e via dicendo.

Aggiungiamoci una strumentale che di thrash poco ha ovvero "Orion" tra le cose più belle che il gruppo abbia composto con passaggi in bilico tra interludi meditativi, distorti e camaleontici assoli lenti e veloci. Sviluppata soprattutto da Cliff Burton può essere considerata il suo testamento: il pezzo è suddiviso in due parti, separate da degli splendidi giri di basso claustrofobici che richiamano paesaggi subacquei e scenari surreali.

Mentre a livelli apocalittici ci si arriva con la scoppiata "Damage Inc." aperta da un lungo intro dal vago sapore psichedelico, che può sfoggiare uno dei riff più killer dei 'Tallica e un Hetfield quanto mai virile. Su tonalità simili c'è anche la lunga "Disposable Heroes".

Tuttavia due pezzi non sembrano all'altezza di quelle precedentemente citate all'inizio, si veda la sabbathiana lenta e oscura "The Thing That Should Not Be" e "Leper Messiah", ovvero gli episodi che meno si fanno notare tra i vari missili lanciati dal cacciapediniere americano, non intaccando tuttavia il valore del platter. Mentre "Welcome Home (Sanitarium)" dolce semi-ballad aperta da delicati arpeggi che acquista velocità man mano si consuma il pentagramma, che segue gli stilemi compositivi di "Fade To Black" e "One" si può apprezzare il gusto melodico di Kirk Hammet, qui ci viene ricordato che la ballata ancora ci stava per ricerca e ampliamento compositivo e non per mera esecuzione degli obblighi contrattuali e per reclutare masse di gente al di fuori della scena metal. Da apprezza comunque la ricerca di melodia da parte del combo, che ci regala senza dubbio una splendida atmosfera qui e anche il loro miglior lento del repertorio.

Col senno di poi e andando oltre le sette note e facendo qualche riflessione, già da questo "M.O.P" si intuirà chi sarà il "Giuda" del thrash che tradirà la fede e quant'altro, a detta dei puristi del genere. Per dirla a chiare lettere era chiaro che gli Slayer o i Testament non li avremmo quasi mai visti osannare sul carrozzone mediatico, e quasi mai mettere il lentone nei loro dischi più importanti, si legga "Reign In Blood" o "The New Order" ad esempio. Gli stessi Megadeth decisamente più melodici dei loro cugini, risultano già più ostici soprattutto sul disco principe ("Rust In Peace") con un songwriting molto più complesso. Constatazioni e analisi del tutto neutrali, da non vedere come mere critiche ai Four Horsemen.

I testi trattano di tematiche sociali e aspre critiche alla guerra, se il testo della title-track può avere diversi piani di lettura ovvero la tossicodipendenza e il rapporto potente/sottomesso, su "Welcome Home (Sanitarium)" viene dato spazio alle riflessioni e alla sofferenza del ricoverato reduce dal Vietnam. Un altro tema trattato infine riguarda l'invettiva contro i telepredicatori americani.

La produzione di Rasmussen dona dei suoni claustrofobici, pesanti e compressi a tutta l'opera. Produzione che si collega perfettamente al mood dei racconti di Lovecraft, che da sempre ispirano la band. E' inutile dire che l'opera vanta un livello di songwriting e stilistico assolutamente eccellente, dove il thrash si fa contaminare da spruzzi NWOBHM che stemperano in parte la ruvidezza presente sul cd e rendendolo ottimo pure per un novizio alle prime armi con gli orizzonti musicali estremi.

E' superfluo distribuire i volantini per i sobborghi con l'invito a partecipare alla festa del Maestro e dei suoi Burattini, in quanto quasi tutti ormai vi avranno preso parte e consumato la pietanza, tuttavia per chi non si è ancora approcciato a questo lavoro fatto con il cuore e senza target specifici, sarebbe cosa buona e giusta. Questo signori è il tHrasH metal.

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