Mescolare sapientemente più stili musicali, saper fondere ritmi diversi e tendenze variegate non è un gioco da ragazzi. La sperimentazioni (e le sperimentazioni) rappresentano il frutto del lavoro di menti sagge, geniali e maledettamente intuitive, cervelli che hanno avuto il coraggio di trasformare il pentagramma in un potenzialmente infinito calderone di suoni e rumori, dal più primitivo, naturale e seminale a quello maggiormente artefatto ed esclusivamente "made in Homo sapiens".

L'autentico spirito "sperimentale" non nasce tuttavia fra i quattrini e i contratti a nove zeri delle Major, nè prolifera sdraiato comodosamente sul podio delle charts mainstream internazionali: il duro lavoro di collezionamento e mescolanza delle sonorità viene sviluppato in un contesto di assoluta creatività e ingegnosità, un mondo in cui il dio danaro è rigettato in nome dell'arte e la ripetizione industriale a mo' di catena di montaggio della grande distribuzione discografica è l'ultima degli step da compiere, passo che tuttavia deve essere fatto se gli agganci economici, purtroppo indispensabili in qualsiasi contesto di produzione, vanno arrancando e scarseggiando. Se è vero che l'ingresso nel music-biz fornisce popolarità ad una nicchia ancora sconosciuta e/o nascosta alle masse "conformiste", va sottolineato che l'approdo alla commercialità spesso segna un declino della qualità produttiva. E' il caso, ad esempio, del genere elettronico e derivati (dance, dubsep, techno, house, industrial, synthpop...), un contesto fino a pochi anni fa prettamente underground e poco mainstream e oggi al top delle global charts.

Particolarmente inflazionato oggigiorno è il connubio delle sopracitate sonorità elettroniche con l'hip-hop, mix ormai riproposto in tutte le salse danzerecce possibili da rapper finto-ballerini et similia e svuotato dalle connotazioni alternativo-underground di un tempo. Anche se sembra tutto "perduto", qualcosina risplende dall'oltretomba della nicchia anti-commerciale, barlumi di qualità che vanno a negare la totale standardizzazione dell'offerta sonoro-discografica: è il caso di M.I.A., esponente anglo-cingalese dell'ancora raggiante e ricco underground sperimentale. Apparentemente eccentrica nell'estetica e nelle sue produzioni, eppure maledettamente eclettica e reazionaria, M.I.A. frulla in piena libertà l'imperfezione e l'assordanza delle sottocategorie elettroniche (dal grime all'industrial, con ragguardevoli sprazzi di dubstep, electroclash, techno e trance) assieme all'essenzialità del "vero" e "puro" hip-hop. L'ultima opera è Maya (stilizzato in /\/\ /\ Y /\), risalente al 2010 e facente seguito a Arular e Kala, lavori molto più indie-oriented.

Il punto di fuoco dell'album in analisi è l'estratto Born Free, un minestrone casinista, dinamico ed estremamente pompato di pesante hard rock, garage-industrial, grime ed electroclash, brano "di protesta" che stilizza perfettamente la stupefacente eterogeneità di suoni, rumori ed anche umori all'interno del disco. Si passa dunque al gretto dubstep condito da auto-tune, trapani e martelli pneumatici di Steppin Up, alla marcia trionfale di synth selvaggi e versi elettronici pseudo-animaleschi rappati in Teqkilla, come pure all'enigmatica espressione trance-hip hop di Lovalot.

L'orizzonte sonoro che Maya dispiega all'ignoto ascoltatore è ben più ampio e sfaccettato: da registrare l'atmosfera funkeggiante di It Takes A Muscle, traccia dalle connotazioni dancehall e ambient, il sapore pseudo-discotecaro techno-house di Illygirl, la spasmodica lentezza militare/tribale della "marcia trionfale" Tell Me Why e dell'adiacente Space. Notevoli sono infine la sobrietà hip-hop senza troppi fronzoli racchiusa in Internet Connection, l'incredibile vigore scazzoso rock-electroclash di Meds And Feds e la rilassante chiusura lounge-ambient di Caps Lock.

Un disco che segna il difficile varco fra underground anticommerciale e mainstream industriale, espressione di più ispirazioni e sperimentazioni attuate senza l'occhio oppressivo delle major conformiste, tuttavia con un occhiolino di riguardo anche al music biz più pop e conformista (è da poco la notizia della sua imminente collaborazione nel nuovo singolo di Madonna con la collega Nicki Minaj). Il divario alternative-commerciale che appunto contraddistingue il lavoro può dividere seriamente le due tipologie di ascoltatori: se all'aficionado dell'underground Maya sembrerà meno originale del previsto, a colui che si nutre quasi esclusivamente di prodotti industriali radio-friendly e che per la prima volta si vuole addentrare nella nicchia l'album rappresenterà una novità da apprezzare pienamente solo nel lungo periodo, non immediata e affatto "riduttiva".

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