Sfonda la porta ed arriva verso le due e mezza. Mi alzo di soppiatto, vado nella stanza accanto a piedi nudi, apro la finestra. Domani inizia l’ultimo mese dell’anno e comincia a fare finalmente freddo. Il silenzio è pressoché totale, osservo il fiato salire dalla bocca verso un cielo costellato da stelle incredibilmente lucenti. Tutto è pace ma non dura. Arriva urlando, sbattendo ogni cosa per cagarmi addosso pensieri marci e putrescenti tra le piaghe grigiastre del mio cervello. In certi frangenti utilizzo qualche goccia sotto la lingua, ultimamente ho trovato due nuove armi potentissime. Due armi potentissime per tirargli un montante sul mento, staccargli la mascella e lasciarlo lì al tappeto.

La prima consta nello scrivere. Prendo il pc nel cuore della notte, mi posiziono in cucina, non ho uno studio, e inizio a ticchettare piano piano. Ma in un baleno il ritmo diventa altissimo le parole grondano dalla mente per finire sullo schermo. Arrivano a scrosci e ventate, come in un classico e potente temporale estivo. È come se pisciassi fuori, con un idrante, tutto lo schifo. Dopo un’ora e mezza ho scritto dieci o quindici pagine e, solo allora, posso dormire.

La seconda consta nel trovare pace nella lettura. Ma non deve essere un libro che presupponga lo studio e non devono essere nemmeno delle opere ordinarie. In quei casi i pensieri marci continuano ad aggrovigliarmisi addosso e mi impediscono di leggere più di una frase. Quel periodo diventa un loop insopportabile. Una volta, sono cose che non si fanno, mi sono ritrovato a strappare delle pagine furiosamente. Quest’arma, pertanto, va bene solo se riesco a trovare qualcosa che adoro. Finora ha funzionato con soli tre membri della mia, non piccola, libreria. La mente in quei rari casi trova rilassamento, si perde nella bellezza accecante di una prosa che mi rapisce e risucchia tutto il resto, come un buco nero.

IL MAESTRO E MARGHERITA

Non ho controllato ma sicuramente ci saranno diverse recensioni di questo libro: se mi mettessi a scrivere la trama di wikipedia del libro parlandovi di Ponzio Pilato, Woland, del gatto Behemoth - il mio personaggio preferito - cosa aggiungerei rispetto al lavoro fatto da altri? Se voglio spendere in modo decente il mio ed il vostro tempo credo sia meglio utilizzare un altro approccio e quindi fornirvi il contesto storico nel quale è stato scritto questo romanzo e sottolineare alcune fasi importanti della vita tormentata dell’autore. Queste informazioni sono fondamentali per comprendere a pieno questo capolavoro del ‘900.

Michail Afanas'evič Bulgakov nato a Kiev a fine '800 aveva un carattere difficile. Diciamo pure che era uno stronzo, ma era anche un genio. La sua famiglia, profondamente religiosa, era benestante e “bianca” nel senso che appoggiava lo zar e questo ovviamente ebbe anche un peso dopo la Rivoluzione russa. Prima della Grande guerra si laureò in medicina e, con lo scoppio del conflitto, venne mandato in diversi fronti come medico militare. Nel 1921 decise di abbandonare la professione per dedicarsi alla sua grande passione, la letteratura. Con il nuovo regime la capitale da San Pietroburgo fu trasferita a Mosca e, pertanto, fu lì che dovette andare per tentare di fare carriera.

La Mosca di quegli anni era a suo dire uno schifo: se eri letterato dovevi prostrarti al regime per avere una vita senza patemi; la burocrazia era mostruosa e la quantità di leccapiedi e incompetenti era sorprendente al pari di usurai e delinquenti di ogni sorta. Contrariamente a quanto si possa pensare, visto che Bulgakov verrà ricordato per sempre per il romanzo immortale che sto recensendo, la sua passione era rappresentata dal teatro. Il suo talento era talmente smisurato che una delle sue prime opere, “I giorni del Turbin”, venne vista a teatro da Stalin per quindici volte nonostante la trama fosse incentrata su una famiglia “bianca”, i Turbin appunto. Ma quelli erano i primi anni al potere di Joseph; poi ebbe altro da fare piuttosto che proteggere il buon Bulgakov. Questi non si fece corrompere e scrisse testi scomodissimi, tra gli altri “Le Uova Fatali” e “Cuore di Cane”, e arrivarono, puntuali, i problemi. L’embrione del futuro KGB lo spiò e sequestrò diversi suoi scritti; trovare lavoro divenne per lui impossibile.

Si lamentò con tenacia affermando che i giudizi dei suoi scritti erano sempre quasi tutti negativi, palesando un complotto nei suoi confronti. Cominciò a fare la fame, divorziò due volte, e alla fine cominciò a pensare all’esilio. Anche al suicidio. Siamo nel febbraio del 1930 quando scrisse di questi suoi intenti al governo chiedendo un lavoro per uscire da quella miserevole situazione. Preso dallo sconforto bruciò nella stufa la prima stesura di quello che poi diventò “Il Maestro e Margherita”. A quel tempo il titolo che aveva scelto era “Il Romanzo sul Diavolo”. Pochi mesi dopo una sciagura portò ad svolta improvvisa e insperata della sua vita. Il poeta della rivoluzione Vladimir Vladimirovič Majakovskij nell’aprile del 1930 si suicidò con un colpo di pistola sconvolgendo il modo letterario russo. Lo sconvolse perché la sua voce era unanimemente riconosciuta come la più allineata, la più rispondente ai dettami del regime sovietico. Non si sa esattamente quale sia stato il motivo ma la critica era sempre più feroce e attenta anche nei suoi confronti, il controllo del partito molto serrato al pari dell’onnipresente censura. Bulgakov presenziò al funerale e il giorno dopo ricevette una telefonata di Stalin. È lecito supporre che il regime non voleva un altro suicidio o un esilio di un altro grande poeta russo e così gli venne affidato, in pochissimo tempo, un lavoro stabile a teatro che gli permise una relativa pace.

Riscrisse la seconda stesura del testo nel 1936 e la terza la completò nel 1940 pochi giorni prima di morire. Leggendo il testo si capisce che era conscio di avere tra le mani un libro di qualità “enorme”, ma non poté mai godere del successo e non poté nemmeno vedere all’opera un altro Diavolo che, di lì a pochi anni, avrebbe cercato di conquistare, senza successo, la Russia.

Ora non credo che serva molto per capire che è un’opera fortemente autobiografica. Lo so che non è condiviso da tutti ma a mio parere il perfido Diavolo, che aiuta il Maestro, altri non è che Stalin. Non è il potere assoluto ma è proprio il dittatore descritto in una forma iperbolica e cammuffata nel comportamento: non scordiamoci quando venne scritto il testo. Il Maestro è palesemente Bulgakov e Margherita altri non è che la sua adorata terza moglie Elena Sergeevna Silovskaja che lo aiutò a finire di completare la terza stesura quando era troppo debole per restare seduto. L’abitazione dove risiede Woland e la sua cricca è esattamente l’indirizzo dove Bulgakov visse a Mosca. Il Diavolo e la sua pazza banda rivolgono le loro atrocità, divertentissime da leggere, nei confronti di burocrati, letterati compiacenti e borghesi. E’ un modo geniale per sbeffeggiarsi della Russia post-rivoluzionaria e di tutta la mediocrità, ignoranza, perbenismo e timore che caratterizza gli ambienti della capitale. Il libro verrà pubblicato solo diversi decenni dopo, metà anni ’60 in una forma censurata.

Bulgakov di fatto ne “Il Maestro e Margherita” ha scritto due romanzi in uno. Quello su Ponzio Pilato - l’opera, guarda caso bruciata, che stava scrivendo il Maestro - è proprio “Il Maestro e Margherita” per Bulgakov. Il romanzo è un’opera che ha una struttura che definirei unica. Si chiude come un gigantesco cerchio, eppure il protagonista viene fatto conoscere ai lettori solo al tredicesimo capitolo. Le due trame, quella che si sviluppa a Mosca e quella che descrive Ponzio Pilato, si alternano continuamente nei capitoli per intrecciarsi solo nella parte finale. L’autore passa dal genere storico, religioso, satirico al romanzo d’amore con pagine divertentissime alternate ad altre di una poesia e delicatezza struggente. Il comun denominatore è la prosa avvincente e superba che tiene letteralmente incollato il lettore. Probabilmente tutti voi lo avete letto UNA volta. Ma questa è un’opera d’arte immortale, uno di quei “manoscritti che non brucia”, da leggere nella vita MOLTE volte.

Io in una notte orrenda di un mese fa ero davanti ad un baratro profondissimo e mi sono imbattuto di nuovo in queste pagine quasi per caso. Credo che “Il Maestro e Margherita” sia un miracolo che forse mi ha persino salvato. Ma non dico nulla di nuovo visto che lo già aveva sostenuto Pavese.

Carico i commenti...  con calma

Altre recensioni

Di  EffePuntato

 Un capolavoro lo è veramente: una polifonia letteraria, una piccola mitologia moderna che riesce a filtrare con l’ironia la bellezza dei classici sciacquandone via tutta la pesantezza.

 Ma la storia di Pilato è rimasta lì in sospeso. Il suo autore, il maestro, non l’ha più ripresa da quella notte di autunno, quando, frustrato dalla freddezza dei burocrati, l’ha bruciata.


Di  ilfreddo

 A quei tempi per scrivere qualcosa di originale non ci volevano solo le mani, qualche buona idea ed una forma/lessico vincente. Caratteristica ben più importante era poter disporre di un paio di grossi zebedei.

 Pallino(v), per quanto possa risultare nei suoi modi assai simpatico, appare come un fratello di Frankestein.


Di  asterisco

 Il diavolo è l’inquietante, il trickster, lo straniero che strappa ogni maschera dal volto degli uomini.

 Un calcio in culo nient’affatto metaforico a questo formicolare di (dis)umanità.