Ascoltate la musica dei Minutemen: fa bene. E ascoltate questo "Buzz or Howl Under the Influence of Heat", Ep registrato tra le palme di Redondo Beach per la complessiva cifra di cinquanta dollari, per capire il perchè.

Otto traccie dove si respira il profumo di quell'irripetibile armonia che regnava in casa SST. Prendete tre individui come D.Boon, Mike Watt e George Hurley che, più che comporre canzoni, si lasciavano travolgere dalla loro creatività, aggiungete una saletta-prove a porte aperte, dove gli amatissimi compagni d'etichetta portavano il loro contributo d'idee e ancor più birra e avrete "Buzz or Howl Under the Influence of Heat", la cui copertina porta la firma di Joe Baiza, chitarrista dei Saccharine Trust, primo tra i tanti compagni di giochi dei Minutemen in questo (non)disco.

"Self-Referenced", con quella ritmica meravigliosamente zoppicante e quell'inconfondibile voce da cagnone di D.Boon che urla "I'm full of shit", vi farà capire che ognuna delle centosessanta (non)canzoni dei Minutemen ha il suo perchè. "Cut", scritta da Watt in omaggio a Greg Ginn e al suo supersonico modo di suonare, vi farà invece capire che questi tre ragazzoni di San Pedro, quando suonavano, diventavano un'unica entità e produzione e esecuzione così si sovrapponevano ("jam econo!" era il loro motto). Tirate fuori la vostra camicia hawaiana più vistosa per due pezzi come "Dream Told By Moto" e "I Felt Like A Gringo", narrante di un viaggio in Messico dei nostri, mettete in mostra tutta la vostra virilità e cominciate a ciondolare a bordo di una Cadillac d'epoca: vi pervaderà una malsana allegria e sarà la fiera del grottesco. Questa sorniona atmosfera di follia aumenterà in maniera esponenziale quando nella fatiscente saletta sarà una volta entrato un folle come Crane, amico di lunga data di D.Boon, che maltratterà la sua tromba prima in "The Product" e poi in "Dreams Are Free, Motherfucker" (uno dei titoli più belli della storia, scelto da Henry Rollins in persona) e, stufatosi, la cederà a George Hurley, il quale a sua volta presterà le sue consumatissime bacchette a Dirk Vandenburg, fotografo di "Double Nickels on the Dime", e darà altro sfogo alla sua cazzoneria improvvisando al microfono in "The Toe Jam". Chiude la travolgente "Little Man With a Gun in His Hand", scritta a quattro mani da D.Boon e da Chuck Dukowski, che parla di un famoso roadie dei Black Flag, Steve "Mugger" Corbin, e delle sue strampalate idee esistenzialiste.

Ascoltate queste otto sveltine al cesso, quando andate a comprare il pane o mentre lavate la macchina. Il sorrisò tornerà sulle vostre facce da culo.

I miei ultimi righi vanno alla buonanima di D.Boon che, sul retro di questo "Buzz or Howl Under the Influence of Heat", incise il suo aforisma più celebre: "Punk is whatever we make it to be". Ricordiamolo con un sorriso, dunque, perchè alla vista di una lacrima ci avrebbe ruttato in faccia e continuiamo a sognare perchè - ricordatelo bene - i sogni son liberi, figlio di puttana!

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