Secondo lo scrittore di racconti fantastici Howard Phillips Lovecraft, il Necronomicon (il cui titolo originale in arabo è Al Azif) è un testo di magia nera redatto da uno stregone arabo di nome Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell'VIII secolo d.C. e morto a Damasco in circostanze misteriose (si dice fatto a pezzi in pieno giorno da un essere invisibile). Wikipedia

È notte fonda, oramai. Decido quindi per ragioni di buon-vicinato di indossare le mie cuffie e di staccare me e questo disco dal mondo reale. La luce soffusa dello schermo del pc da cui sto scrivendo irradia abbastanza luce da rendere ben visibile la tastiera ma il mio soggiorno è soffuso come soffusi i miei pensieri annebbiati, quando parte questo "Consigli Per Il Suicidio".

"Prologue" inizia con una voce maschile che si scalda in alcuni gorgheggi, tradendo emozione pure nella risata nervosa che scatta ad un certo punto, prima di trovare l'accordo giusto con cui far partire la chitarra in un lungo assolo, passatemi il termine, abbastanza metallaro, dove ad un certo punto entrano pure gli altri strumenti a disegnare un garage-blues, belluino ed irruente come un'orda di barbari lanciati al saccheggio di un inerme villaggio dove si trascinano nel finale ad una sorta di rito pagano per ingraziarsi il dio della razzia, marcio e corrotto nella profondità delle viscere che ritorna violento e rabbioso per il finale. L'adrenalina entrata nel circolo di vene ed arterie, come la pallina fra i bumpers e le palette di un flipper, sembra lei stessa pompare sangue in circolo istericamente, salvo poi calmarsi non appena ci si addentra nelle calme e fredde nebbie della natura, e "Requiem Der Natur" diviene una dolcissima ed eterea ballata folk, con una doppia voce a cantare "calmanti" litanie in lingua teutonica, sopra un morbidissimo giro d'organetto, un basso che pulsa fiero e sicuro ed una chitarra gentile, che senza accorgersi guidano il brano dentro un acquitrino malsano, infestato dalle presenze della Natura, con voci di esseri ultra-terreni e cori di donne che sembrano uscire dalla vetrata di una chiesa, lasciata socchiusa. Un intermezzo jazzistico spezza la tensione che riprende sul finale di questi lunghissimi ed emozionanti undici minuti scarsi, con le voci che ritornano a riproporre lo stesso mood.

La title-track ingloba garage, psichedelia ed hard rock, le impasta in melmoso humus kraut e li risputa in un'orgia adrenalinica; deviante anche per le anime più salde e coscienti... gli Amon Düül II che coverizzano i Jefferson Airplane strafatti di anfetamine e cantando pure nella loro lingua madre. "Die Stadt" parla di una città del futuro ed è costruita su una ballata folk molto space-oriented, che ricorda gli Hawkwind anche quando si fa rocciosa, ma il lato kraut del sestetto di Aachen prende comunque il sopravvento rendendo le atmosfere sempre sovraccariche di quell'anima appesantita dalla recente storia tedesca, che accomunava tutti gli artisti underground del periodo, rendendoli profondamente unici rispetto al panorama musicale del resto del mondo. "In Memoriam" inizia hendrixiana e si trasforma in un lamento post-apocalittico, arricchito da continui cambi di spazio e tempo, che ne sconquassano il continuum... invettiva violenta contro il consumismo moderno (sigh...!!!). Nella finale "Requiem Von Ende" si fanno più eterei e si lanciano alla ricerca di un filo conduttore che riassuma e comprima tutte le tematiche espresse nel resto dell'album... un brano di rara intensità emotiva e sapiente uso di tecnica al servizio di una teatrale composizione musicale romantica.

E per chiudere riparto dall'inizio, lasciandovi con le parole del santone Abdul Alhazred che introducono al Necromicon: «La notte s'apre sull'orlo dell'abisso. Le porte dell'inferno sono chiuse: a tuo rischio le tenti. Al tuo richiamo si desterà qualcosa per risponderti. Questo regalo lascio all'umanità: ecco le chiavi. Cerca le serrature; sii soddisfatto. Ma ascolta ciò che dice Abdul Alhazred: per primo io le ho trovate: e sono matto. »

Buon ascolto.

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