"Pink moon". E' il nome di un demone e, secondo i lunari, un segno di sventura. Sussurrato con voce sconnessa e quasi infantile è invece il ritornello di una canzoncina folk., due minuti di chitarra gentile, punteggiata solo per pochi attimi da un accecante raggio di luna che è poi un piano, malinconico.e luminoso che non tornerà più. Questa infatti è la traccia uno e dalla due alla undici ci son solo voce e chitarra..

Nick Drake incise Pink Moon nel 1972 a ventiquattro anni. Ragazzo prodigio, aveva investito gran parte delle proprie energie psichiche nella musica e coccolato da Joe boyd, uno dei produttori più intelligenti dell'epoca, aveva avuto la possibilità di incidere due album con il fior fiore dei musicisti inglesi della scena folk/rock. Il risultato fu una serie di canzoni senza tempo anche se qua e la appesantite da arrangiamenti troppo barocchi. Quei dischi, pur bellissimi, danno a volte l'impressione di tradire la fragile e toccante semplicità delle sue canzoni, di cui è quasi sempre preferibile, quando esiste, la versione demo per sola voce e chitarra. E questo non deve stupire, perché Nick, esattamente come i grandi blues men del passato, di voce e chitarra faceva un sol uomo, tanto che in molti hanno scritto che in questo vi era qualcosa di soprannaturale, idea secondo me piuttosto sensata, soprattutto se si pensa ad un altro suo dono e cioè il saper creare atmosfere così intime e ipnotiche da dar quasi l'impressione a ogni singolo ascoltatore che è lui e soltanto lui l'interlocutore di quella voce e di quella chitarra. Un po' come come succede con certi film, complice il buio della sala, quando sei senza fidanzata e senza amici e la voce fuori campo è solo a te che racconta la sua storia. E di confidenti, come tutti sanno, ne basta uno, due sono già troppi. Come di troppo, tornando a Nick, sembrano certi violini, o quel sassofono da jazzettino del cazzo che, per fare un solo esempio, deturpa “At the chime of a city clock”, canzone meravigliosa dove Nick sussurra che fa freddo e bisogna mettersi in ginocchio e pregare per un po' di calore. Certo, ci sono casi in cui gli arrangiamenti sono persino riusciti, ma il più delle volte l'effetto è quello di una fastidiosa interferenza. Non preoccupatevi però che in quei dischi di magia ce n'è comunque tanta. Le mie son solo fisime.

Dischi magici allora, ma non è il loro momento e passano pressoché inosservati. Inoltre, Nick affetto da una sensibilità e da una timidezza quasi patologiche non riesce ad esibirsi dal vivo. Ci prova si, ma sul palco riesce a malapena a farfugliare qualcosa senza riuscire a guardare in faccia la gente.
Non abituato alla vita di una grande città come Londra si perde e si chiude in se stesso, fino a che qualcosa si rompe. Così torna dai genitori convinto di avere fallito.
A casa la situazione precipita con visite psichiatriche, psicofarmaci, un vuoto che si fa totale. Eppure quelli della casa discografica continuano, nonostante lo scotto di un insuccesso assolutamente imprevisto, a coccolarlo. Il boss, Chris Blackwell, da a Nick le chiavi del suo appartamento di Algesiras in Spagna, sperando in una positiva rottura dei soliti schemi. Siamo all'inizio dell'estate e Nick parte.
Al ritorno, in ottobre, telefona a John Wood, ingegnere del suono della casa discografica, dicendo che vuole incidere un nuovo disco. E John Wood risponde OK, anche perché aveva avuto un mandato ben preciso, registrare in qualunque momento qualsiasi cosa Nick avesse voluto. Così si mettono d'accordo per una seduta notturna.
Nick arriva e il suo aspetto è spettrale. Entra nello studio e, gli occhi rivolti al muro, registra una dopo l'altra le canzoni di Pink Moon. Poi a un Wood sbigottito dice che le canzoni vanno bene così, solo voce e chitarra.
"Niente ovatta e fronzoli"
Si limiterà solo ad aggiungere l'assolo di pianoforte di cui vi ho parlato. Basta.
In soli due giorni Pink moon è pronto. Le incisioni dei dischi precedenti erano durate mesi e mesi.

In fondo si potrebbe dire che in Pink moon non c'è che un tizio che canta e suona la chitarra. Ed è vero in un certo senso. Tenete poi conto che quando l'ho ascoltato la prima volta non avevo la minima idea del significato delle parole. Ma il fatto è che le parole devono uscire bene dalla bocca, come diceva qualcuno e non devono far altro che esprimere un sentimento. E il sentimento lo cogli anche senza traduzione.
Certo facendo un pochino di citazioni da quei testi così scarni, tipo “mi vedi, ma non ci sono” "datemi un posto dove stare" "son diventato vecchio e devo far pulizia" ci si fa, forse, un'idea più chiara.
E la mia idea è questa: Pink moon è il disco del crossroads, di quando bisogna decidere cosa fare e non ci si può raccontar fandonie, il crocicchio, l'incrocio delle strade sferzate dal vento dove secondo la leggenda del blues una divinità benevola ti protegge dal buio e ti aiuta a far chiarezza nella tua mente, facendoti lo spelling della parola destino. E dove si fa la pira sacrificale degli errori passati e tutti quegli svolazzi chitarristici non sono che le scintille del fuoco. Ma tutto questo lo si intuisce anche senza capire il significato delle parole.
Ascoltate la voce lievemente sconnessa, quasi infantile specie se paragonata a quella dei dischi precedenti. Nella canzone omonima questo effetto è quasi incredibile, Nick non sembra nemmeno in grado di pronunciare bene le parole. "E' come se un bambino di quattro anni, mentre sta giocando con dei sassi, all'improvviso ricevesse un messaggio da Marte e cominciasse a ripetere pink moon, pink moon, pink moon" dice ancora quel qualcuno ( che poi è un tale molto saggio che si chiama Robyn Hitchcock).
Poi arriva quell'assolo di piano e lo dice in altro modo, come fosse davvero un raggio di luna che entra improvviso dalla finestra. Ma non ho voglia di fare il critico musicale. Quindi basta.
Diciamo solo che sempre il vecchio Robyn paragonava le canzoni di Nick a delle farfalle, delle farfalle legate ad un'ancora. Io dico invece che la sua voce è il mattino che canta la notte. E che "Pink moon" è un capolavoro, un capolavoro assoluto.

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