Uno scontro fra cavernicoli.
Non è la definizione più calzante che ci sia, ma è la prima che mi viene in mente.
Da qualche parte nel Neolitico.
Omuncoli rozzi e pelosi dalle vaghe fattezze umane, per qualche strano e sconosciuto motivo, si stanno scontrando. Appartengono a clan diversi ma sono tutti nati dallo stesso fango: muscolosi e guizzanti gli Stooges da una parte, fracassoni con le loro lance e le loro pietre i Blue Cheer da un'altra, selvaggi e incazzosi gli MC5 da un'altra ancora, ormai vecchiotti e rancorosi i Sonics, provocatorio e sensuale, un nero dai capelli a cespuglio che tiene la sua clava all'incontrario perché mancino. Si osservano per qualche secondo incazzati come delle bisce e poi se le danno di santa ragione.
Da qualche parte nel Neolitico, mezz'oretta dopo.
Silenzio. Scontro finito. Vicino alla caverna rimangono pochi superstiti, gli altri sono tutti andati, tutti a terra; chi si alzerà anni e anni dopo tentando di illudere gli altri di essere ancora l'iguana di una volta, chi si rialzerà ma non verrà più considerato da nessuno, chi non si rialzerà mai più.
I superstiti sono tre.
STOP.
Avanti veloce di 40 anni.
Guardateli lì, immobili da decenni, con gli strumenti in mano, congelati nell'attimo prima di attaccare. Lasciamoli ancora immobili qualche momento e presentiamoli: Arthur Van Berkel alla chitarra e ai pedali (fuzz uber alles), Mehdi Rouchiche al basso e Guy Tavares: uno scimmione epilettico alla batteria e alla voce. A guardarli bene sembra di stare ancora nella preistoria.. non si direbbe che siano arrivati fino a oggi così intatti. Per carità, sono ben disfatti da LSD ed oppiacei vari, ma sono ancora giovani e rozzi rockettari fissati con i dischi del padre, non vecchi dinosauri. Gli Orange Sunshine, infatti, non sono per niente contemporanei di tutta la bella gente di cui sopra, ma fanno di tutto per esserlo: stessa strumentazione dell'epoca, stessi metodi di registrazione, perfino le stesse droghe di allora. Se infatti sul disco (ristampato in cd dalla giapponese Leafhound con due bonus track) si cerca la data di registrazione, si troverà proprio: 1969. La differenza è inesistente: questo disco potrebbe essere stato registrato benissimo 40 anni fa, ma non è così.
PLAY!
"Hush Hush" ed è subito tutto chiaro. Potenza, aggressività, Blue Cheer, MC5, Detroit sound, psichedelia, un chitarrista che macina riff come un ossesso, fuzz sempre al massimo, niente virtuosismi. Motor-blues, garage-punk e acid proto-hard rock. Insomma, tutto il lato b dell'America sul finire degli anni ‘60. Niente hippies, niente folk bucolico, niente flauti e mellotron, niente armonie vocali, niente peace and love. Qui c'è molta meno perizia strumentale, molta meno ricerca, molta meno innovazione, ma molta più sincerità, molta più immediatezza e rock ‘n roll. Un sound unico, monolitico e grezzo.
Come si può ben capire i pezzi di questo lp non brillano per originalità né, ancora meno, per varietà, andando così a formare una compatta colata lavica, stridente ed assordante, una lunga jam che puzza di zolfo e acido. Così, ascoltando "Luv Me", sembra di sentire un pezzo stoner alla Kyuss prima ancora che Josh Homme venisse concepito, in "Magic Ship" ci sono i Black Sabbath primo periodo fatti girare a 45 giri e "Girl, You..." sembra un outtake di "Vincebus Eruptum".
Se poi si da uno sguardo alla copertina, non si hanno più dubbi. Questi tre olandesi non sono altro che fricchettoni senza appello e con le mani legate, condannati a spingere in eterno balle di marijuana col petto, in eterno e il carrarmato sotto di loro, il suono che producono nelle nostre orecchie.
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