Joachim Nordwall raddoppia. A gennaio il nuovo e ultimo disco de gli Skull Defekts è stato una fine con i botti per un gruppo che con la pubblicazione di “Peer Amid” nel 2011 aveva riscosso un successo enorme e aveva dato il via a una bella pagina della storia del rock più rumoroso degli ultimi anni. L’esperienza si è conclusa, come noto, a causa dei vari impegni dei diversi componenti della band e con la pubblicazione di un ultimo LP eponimo.

Il disco è stato comunque forse il migliore del gruppo assieme al già menzionato “Peer Amid”, segno che evidentemente artisticamente Joachim Nordwall e compagni avevano e hanno comunque ancora qualcosa da dire. Quindi ho accolto con grande entusiasmo le uscite degli Orchestra of Constant Distress, un supergruppo capitanato proprio da Nordwall e completato dal suo vecchio compagno di avventure Henrik Rylander, oltre che da Anders Bryngelsson e Henrik Andersson. Il disco è praticamente un doppio LP, pubblicato dalla Riot Seas Records e uscito lo scorso 23 febbraio. Praticamente lo si potrebbe definire una raccolta, perché il disco riprende il contenuto (comunque omogeneo) di due cassette pubblicate negli scorsi mesi.

Avvicinabile a episodi avant-jazz del tipo Colin Stetson oppure Ex Eye e a pubblicazioni come quella ultima del duo composto da Tashi Dorji e Tyler Damon, partendo da presupposti di carattere espressionista astratto e un approccio avanguardistico, questo LP è un oggetto spigoloso: le tracce sono vigorose e travolgenti composizioni di carattere noise e non legate a forme derivative dalla no-wave newyorkese e che a tratti possono forse ricordare quella sontuosità monolitica Michael Gira. Il suono in questo caso sembra piuttosto come una specie di rivoluzione interiore: più che essere veramente esplosivo, ribolle come una specie di magma primordiale e più che essere dedicate a raggiungere una specie di climax, queste hanno quel carattere ripetitivo e ossessivo, guidato da una sezione ritmica virulenta e avvolgente.

Probabilmente potrebbe non piacere a tutti: è un disco sicuramente lontano da qualsiasi caratterizzazione easy-listening e che tuttavia non è concepibile come un unicum, perché non viene rinnegata la forma canzone che al contrario è esaltata e spinta alle sue massime conseguenze. Prendere o lasciare allora e io vi dico che prendo volentieri senza preoccuparmi per ora se ci sarà un seguito e in quale direzione. Anche se poi sappiamo che in generale quello che chiamiamo “brodo primordiale” poi si definisce sempre sotto qualche nuova forma e dimensione.

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