Io sono… Io sono… Io sono! Non ero, poi sono divenuto. Non posso ricordare di non essere stato, ma devo aver viaggiato tanto, davvero tanto per essere qui.. … Mi chiamerò Dio e trascorrerò il resto dell’ eternità cercando di estrinsecare la mia identità.. Dio è morto o ci ascolta e tenta miseramente di imparare qualcosa dall’ essere meno perfetto del creato, ossia l’ uomo?

Con queste riflessioni prende avvio una sorta di cosmologia sonora, un Timeo Platonico redatto in musica; a realizzarla una mente versatile, complessa ed intrinsecamente ispirata da una vena malinconica. E’ quella del leader dei Pain of Salvation, Daniel Gildenlow, artista svedese apprendista stregone d’una idea poco comune della musica: le note, finite nel loro numero, compongono tuttavia una serie indefinita e a caratterizzarle non è tanto la stupida enfasi da supermarket degli etichettatori, quanto soprattutto la descrizione sonora di tutto ciò che emoziona, sia esso gospel, musica classica, folk, jazz, blues, funky o più semplicemente metal progressive.

In apparenza si potrebbe credere che il cross over esaurisca questa tipologia di musica, ma non è così perché qui non si tratta di fusione di più generi in una stessa canzone o in più canzoni comunque più o meno ispirate dalla stessa continuità musicale; qui ci troviamo di fronte a delle vere e proprie antinomie di genere all’interno di uno stesso album. Un calderone d’idee narrative e di contenuti musicali questo BE; una fucina di generi capace di testimoniare quanto l’animo umano sia poliedrico e quanto soprattutto il suo appagamento emozionale talvolta esiga il concorso di più stili. Mi si perdoni l’accostamento in apparenza “bizzarro” però trovo quest’ idea della musica, non troppo diversa da quella che, nel campo del contatto fisico, portò Bruce Lee ad ideare il Jet Kunee Doo; dove le singole tecniche di attacco compongono un numero potenzialmente illimitato, allo stesso modo quelle di difesa nn possono risolversi in quelle regolette che si apprendono nelle scuole di arti marziali. Così Daniel, con questo disco ha testimoniato lo steso concetto: l’animo umano è troppo eclettico per risolversi in una arida regia sonora; ad appagarne le infinite sfumature, invece, rileva in maniera determinante l’altrettanto inclassificabile girandola di canzoni.
Anzi lo stesso termine “canzone”, in un disco come questo risulta quasi fuori luogo: i registri vocali e sonori di questo "Be" sono senza mezzi termini sconcertanti; tutta la band ha messo a dura prova i limiti artistici di qualsiasi gruppo che si etichetti con un genere specifico. E così il concept ispirato dall’idea di Dio che proietta la sua nascita e la sua morte nelle identità gli individui, si snoda lungo la degenerazione della crescita abnorme dell’uomo e dei suoi costumi; la proliferazione degli individui smarrisce l’identità originaria di Dio e, a poco a poco la sua immagine viene inghiottita dalla lussuria e dall’arrivismo di tante inutili nullità mascherate da uomini…

Nella storia di Be, questo “ruler of ruin”, ossia il prototipo dell’uomo degenerato, viene incarnato da Mr Money; insignificante magnate della bramosia di possedere per il gusto di possedere e sostanziale personificazione d’ una invisibile volontà autodistruttiva… Un nichilismo di fondo quello che pervade tutto lo sfondo narrativo del concept; una visione oltremodo pessimistica, confermata completamente nella musica.
E qui introduciamo lo sfondo propriamente “sonoro” di questo album: in termini sintetici si tratta d’un opera dalle potenzialità infinite dove almeno una decina di generi diversi concorre alla descrizione della cosmologia di Be; un lavoro grande, davvero grande e maledettamente intrigante perché ad ogni ascolto suona sempre con qualcosa in più rispetto all’ ascolto precedente. . E’ questo che fa grande un album; la sua capacità di rinnovarsi nel corso degli anni e la sua potenzialmente infinità comunicabilità… Mi rattrista soltanto sapere che i Pain of Salvation non siano noti, ed è un peccato perché viviamo in un sistema dove il concetto di opera d’arte molto spesso vive nella misura in cui una strategia commerciale diffusiva riesca ad infilarla nelle orecchie delle persone… . vi ricordo che anche un album del calibro di "The Dark Side of The Moon", ha conquistato il mondo anche per merito d’una sapiente quanto astuta campagna pubblicitaria; I Pink Floyd prima di allora non avevano quasi mai prodotto singoli (eccettuate le canzonette tipo "See Emily Play") e se non avessero importato il 45 giri di "Money" negli USA, personalmente nn credo che quel disco avrebbe avuto da subito quella implosione delle vendite (questa fonte è documentata nel Dvd “i grandi album: The Dark Side Of The Moon”, raccontato dai suoi stessi autori e produttori).

A livello di sperimentazione un disco come Be non è inferiore a quel mostro sacro del rock, né tanto meno a livello d’idee… ma il mondo è pieno di misoneisti che guardano con diffidenza lo spettro offerto dalle nuove menti e, quando la mancanza di venature commerciali non viene surrogata da una giusta campagna pubblicitaria, il risultato è infinitamente inferiore a quello che quell’opera meriterebbe…
E un podio dell’inventiva a questo disco spetta di sicuro: lo si capisce appena il lettore diffonde la prima traccia (“Anime partus: I am”): un crescendo di voci attorcigliate ci introduce i dettami della storia di Dio e del mondo mentre l’incedere dell’orchestra ci introduce “le nuove cose di Dio” ("Deus Nova"); una seconda traccia di poco più di due minuti dove un accenno prog fa da sottofondo al narratore che ci racconta (come se fosse una fredda statistica), quanto il numero dei “volti di Dio” (cioè le persone), sia esponenzialmente cresciuto nel corso dei millenni. E così la frantumazione della soggettività viene ripresa nella voce trascendentale di un intro che ci catapulta verso la prima vera e propria “canzone” del disco: "Imago (anime partus)" e qui le orecchie hanno le traveggole perché quello che sibila dalle casse è un canto tribale che un attimo dopo si trasforma in una magnifica ballata folk. Una mistura ideale tra i Jethro Tull di "Trick as a brick" ed il primo Branduardi ci regala una canzone a dir poco magnifica nella sua imprevedibilità.

Ma le emozioni sono soltanto all’inizio perché uno scroscio di pioggia e l’incedere di un temporale introducono il "Pluvius Aestivus"; ballata minore con solo piano e archi d’una malinconia disarmante; proietta la mente dell’ascoltatore in una fredda mattina d’inverno nel più desolante ed intimista dei paesaggi. Cessato il temporale e la genesi esordisce un quanto mai velato brano progressive: "Lilium cruentus". Una canzone molto particolare dai tratti gospel e folk, sebbene sostanzialmente ideata in uno sfondo a metà tra il rock e il metal progressive più raffinato. Segue un intermezzo acustico cantato nella più cupa delle maniere; una voce distorta nella compagnia d’una desolante chitarra acustica realizza la degenerazione umana e, invocando l’estremo intervento divino, evoca quella che potrebbe essere la colonna sonora d’un incubo.

Ma i toni si ribaltano radicalmente con il brano più incredibile del disco: "Dea Pecunia", una song assolutamente gospel e con infarinature blues ci racconta di Mr Money e delle sue velleità; 10 minuti, (suonati magistralmente ed interpretati altrettanto incisivamente dalla voce di Daniel) che non ti aspetteresti mai da un gruppo “metal”… La cosa incredibile è che, in alcuni tratti la canzone evoca i Beatles nel loro lato più sperimentale e misconosciuto (quello che pervade alcune canzoni che vanno dal White album in avanti); la fine di questa canzone è un crescendo di Gospel e di cori annessi che nella loro alternatività ricordano vagamente i tratti più melodici dei Guns'N’Roses ed i Pink Floyd nel loro marchio dei cori smorzati. A questo punto accade di tutto; le immagini indefinite e contraddittorie proliferano senza nessun limite, la band cambia registro sonoro continuamente e l’ascoltatore non può che rimanerne sbalordito.
Il brano successivo (in maniera forse un pò cruenta), punta dritto al cuore e colpisce l’ascoltatore comunicandogli quanto relativismo religioso pervada i cuori di tutti. "Vocari Dei" è un brano piuttosto anonimo dal punto di vista musicale, perché in apparenza non è altro che una litania di chitarra acustica, piano e violini che accompagnano decine e decine di telefonate di persone qualunque; la particolarità è che queste persone, ciascuna a modo suo, ha come interlocutore proprio Dio. Ognuno esprime i propri sentimenti ed il proprio approccio nei modi più disparati; si va dall’aspirante suicida, all’entusiasta mitomane o all’ateo che semplicemente non crede.

Dopo questa carrellata di sperimentazioni si approda per due ben canzoni consecutive, nel territorio del vero e proprio prog. La prima "Diffidentia" è un brano dagli accenni addirittura nu metal, che si snoda tra momenti decisamente duri e fasi più calme ed orchestrali; la seconda, invece, "Nihil morari", è una vera e propria prog song: con una chitarra lenta e malinconica il brano erompe dopo un po’ nel più classico degli episodi progressivi: si tratta di un brano eclettico (a tratti psichedelico) di puro metal progressive, che forse in un album come 'Be', oserei definire addirittura “banale” !!!.
Il tempo della prevedibilità, però e durato anche troppo: seguono infatti due interludi orchestrali (Latericius Valete e Omni), davvero intensi, ma che finiscono per dissolversi di fronte al brano più bello del disco e tra i più struggenti di tutto il panorama rock: "Iter Impius". Una canzone che da sola vale l’acquisto di non una, ma di 10 copie di 'Be'… ; quasi 7 minuti di un’intensità disarmante in uno sfondo narrativo ancora più struggente.
Mr Money che si sveglia dalla narcosi di possedere in un mondo desolato, orfano di vita ed in balia della più cupa delle distruzioni..

(“I woke up today in a world that’ s ground to dust, dirt and stone” … . ”Life turned its back on us – how could you just agree? How? I just don’ t see….)

e realizza di essere stato per tutta la sua vita null’ altro che un “rule of ruin”. Un motivo straziante in una canzone struggente e disperata; un brano capace di unire gli amanti di Nino D’ Angelo e quegli degli Aborted. Il disco si avvia verso la fine e l’ultimo vero e proprio brano (Martius, Nauticus II) riprende, tanto per cambiare, lo scettro della girandola sonora. Un inizio grave ed orchestrale erompe in due minuti di puro sound tribale, per poi ritornare alle origini folk di “imago” e chiudere con un incedere di percussioni spianate selvaggiamente e a tamburo battente. Rimane l’epilogo o meglio, una non fine; "Anime Partus II", ossia null’altro che la legge Nietzschiana dell’eterno ritorno… nonostante la vita sulla terra sembri irrimediabilmente cessata, una secca linea vocale rimaterializza I AM… e con essa il nuovo cuore eterno riprende a pulsare… il problema è: dove?

In conclusione, disco “aperto”, intrigante e quanto ad innovazione, di sicuro tra i più grandi degli ultimi 15 anni… da consigliare a tutti coloro che amano la libertà di espressione e vivono la musica (e magari anche la vita…) senza tappezzerie preventive. Se amate le emozioni intense suscitate magari da un po’ di pazienza (quella di ascoltare attentamente il disco con i testi alla mano), e adorate la bella musica senza altre etichette, questo è il disco che fa per voi… .
Se invece vivete la vostra vita musicale nella comodità irresistibile degli schemi e degli slogans sonori, lasciate stare: più d’ uno o due brani, la vostra mente cubica non riuscirà a digerire…

For I am every forest, I am every tree, I am everythig, I am you and me, I am every ocean, I am every sea, I am all the breathig “BE” … VOTO 10

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