Avevamo lasciato i Pain Of Salvation con la pubblicazione del grezzo "Scarsick", ritenuto da alcuni lontano dalla pomposità degli album precedenti, e l'abbandono del batterista Johann Langell seguito da quello alquanto inatteso del bassista appena ingaggiato Simon Andersson. E poi, a tormentare le anime dei fan sono arrivate le "pericolose" e inquietanti scritte che apparivano poco a poco sul sito ufficiale del gruppo che hanno fatto pensare anche ad uno scioglimento del gruppo.
Daniel Gildenlow comunque aveva idee chiare su come avrebbe impostato il prossimo album dei PoS: sarebbe stato influenzato da elementi di rock settantiano.
Diciamo che la promessa è stata abbastanza rispettata. In questo album infatti l'influenza dei seventies è più o meno evidente. Basti solo notare l'approccio chitarristico di Johann Hallgren, molto orientato verso un rock-blues e che non si concede quasi mai a riff di stampo metallico come avveniva in passato, come anche quello tastieristico di Fredrik Hermansson incentrato sul suono tipico dell'Hammond molto in voga in quegli anni. La voce di Daniel, sempre molto espressiva e veicolo d'espressione, ha stavolta un timbro molto soul e rinuncia invece a quell'alternare di linee delicate ad altre notevolmente rabbiose che caratterizzavano la produzione storica del gruppo così come anche il suo essere in primo piano come mai prima d'ora (non mancano coloro che hanno inquadrato il disco come molto "cantautoriale"). Altra caratteristica, già praticamente accennata sopra, è l'assenza della componente metal che ha sempre fatto da sfondo alle composizioni della band. Già in "BE" la componente metal era stata messa da parte (e rispolverata solo in qualche traccia) e ritornata prepotentemente in auge in Scarsick; ora sparisce di nuovo e chissà quanto spazio si ritaglierà nel futuro musicale della band ma tutto sommato la qualità delle composizioni dimostra tranquillamente che i Pain Of Salvation non devono essere per forza metal per fare ottima musica. Non mancano, in ultimo, spunti provenienti dall'alternative rock.
Il basso, in attesa di un nuovo bassista è ancora affidato allo stesso Gildenlow, alla batteria vi è l'esordio del nuovo batterista, il francese Leo Margarit.
Tuttavia, nelle 12 tracce (quasi tutte di durata decisamente contenuta) che compongono questa prima parte di "Road Salt", vi è comunque una buona varietà stilistica nei brani. Vi sono brani con uno spirito fortemente rock-blues come "No Way" (con i suoi splendidi inserti tastieristici) e "She Likes To Hide"; brani dall'approccio hard rock come "Darkness Of Mine" e in "Linoleum"; c'è pure una folkeggiante "Tell Me You Don't Know" mentre il brano più spiazzante è "Sleeping Under The Stars" dove Hermansson propone un divertente ma elegantissimo valzer!!! Il tastierista però mostra il meglio dela propria emozionalità nelle splendide "Sisters" e "Road Salt" probabilmente i due brani più a servizio delle emozioni, dove egli risulta decisivo in questo senso assieme alla voce delicata e raffinata di Daniel. Altro brano in cui voce e tastiera creano un connubbio perfetto è "Of Dust" dal sapore quasi gospel. I tocchi delicati di Hermansson legano invece alla perfezione con la chitarra di Hallgren in "Where It Hurts". Il punto debole dell'album, e qui molti mi danno ragione, è secondo me "Curiosity" dove tutto risulta suonato con poca convinzione: un ritmo simil-punk fa da contorno ad un brano suonato però con chitarre scarne e poco incisive. Mi sarei aspettato un po' di più anche dalla conclusiva "Innocence" (l'unico brano a superare i 7 minuti) che si basa sul suono piuttosto sporco della chitarraa non dà un'effettiva idea di conclusione.
I PoS hanno sempre voluto fare quello che si sentivano, hanno sempre voluto rinnovare il proprio sound e non si sono mai accontentati di fare ciò che già fanno e anche sta volta hanno voluto nuovamente portare il sound oltre i propri confini e direi che ci sono riusciti abbastanza bene. Ho sentito molte critiche su questo album, alcune riferite ad una presunta mancanza di idee, altre alla lontananza da quella pomposità compositiva che caratterizzava capolavori come "The Perfect Element" o "Remedy Lane"... ma penso che tali critiche derivino proprio dal vizio di fare sempre i confronti con il passato. Ok l'album non sarà un capolavoro, non eguaglia certo i capolavori già citati, non mostra i PoS più pretenziosi e aspiranti all'estremamente sofisticato, mostra invece i PoS amanti di composizioni relativamente più semplici e immediate... ma sono sempre i PoS; l'espressività non manca, la ricercatezza nelle melodie è sempre ben presente e la qualità delle melodie sempre elevata e mai banale. L'album va apprezzato proprio per quello che è senza stare a dire che non sono più quei PoS piuttosto che quegli altri. Dire che l'album è deludende perché manca di pomposità, di elementi metal, ecc. non è certo giustificabile. Non importa quello che si fa, quello che conta è che quello che si fa sia fatto bene e a mio avviso i PoS sono ancora una volta riusciti a rinnovarsi senza scadere.
Siamo tutti un po' curiosi di sapere come sarà la parte seconda e lo sapremo soltanto quando uscirà, ma ora non resta che goderci questo più che valido album senza pensare né al passato e né al futuro della band.
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Altre recensioni
Di _Ozzy
Veramente questo pastrocchio sonoro ... dovrebbe far ricredere chi è rimasto deluso e scottato dalla virata stilistica di un gruppo che è sempre stato ritenuto tra i top del progressive “intelligente” e mai banale?
In sostanza un disco con ottime canzoni, arrangiamenti ridondanti ed esagerati e zero (dico zero!) senso.
Di _Ozzy
Un disco con ottime canzoni, arrangiamenti ridondanti ed esagerati e zero (dico zero!) senso.
Daniel Gildenlow è un geniaccio e mi piange il cuore sentire come si pavoneggi cantando 4 stili diversi in 3 secondi di canzone.