“C'hai qualcosa da dire? Schisa! La creatività e la fantasia sono falsi miti che non servono a un cazzo!”.
In una grotta che si affaccia sul golfo di Napoli il critico Capuano sottopone a serrato interrogatorio il giovane imberbe Fabietto Schisa. La suggestione ambientale, le iperboli retoriche del ragazzo, la sua ingenuità, si scontrano con la durezza e l'essenzialità dell'uomo maturo, il disincanto di chi ha visto ben più di tre o quattro film. Vissuto ben più di sedici, per quanto tragici, anni. Si chiude così l'ultimo dibattuto lavoro di Sorrentino, che forse da molti è odiato proprio per quegli svolazzi e quella creatività (non sempre corrisposta da altrettanti contenuti, secondo i detrattori) che il maestro si assicura di censurare fin da subito.
È un bel cortocircuito, a voler guardare. Perché questo film, che riduce di molto l'armamentario estetizzante del regista in favore di un più asciutto autobiografismo, non è stato esentato dalle solite critiche e accuse di supponenza, come se si trattasse di un lavoro cervellotico e intellettualoide. Ma le orde di nemici di Sorrentino hanno guardato veramente questa pellicola? Me lo chiedo perché non bisogna di certo arrivare al finale con gli ammonimenti di Capuano per cogliere la semplicità toccante con cui il regista racconta, rivela le miserie della sua giovinezza, e le gioie, l'eccitazione di ragazzo, i sorrisi, le nevrosi, le delusioni, la morte. Il rito iniziatico della vecchia baronessa che gli mostra la "spaccatura" e gliela fa penetrare, come una di quelle mostruose vecchie di Fellini.
Ecco, giù di paragoni con Amarcord, sfottò, confronti impietosi. Sarà pure felliniana la galleria di guitti che colora la narrazione di Sorrentino, ma brillano di autenticità, pur nella probabile enfasi artistica. Autentici perché troppo assurdi per essere inventati. Dalla zia Patrizia, un animale erotico fuori di sé ("pazza e puttana") alla signora Gentile che sputa in faccia la verità a chiunque, e in mezzo le figure ben meno caricaturali del padre e della madre, adorabili e sofferenti, costretti a convivere con i loro errori e i loro orrori. Tremendamente umani e fragili.
Non posso che accogliere a cuore aperto una simile narrazione, non ci può essere pregiudizio di fronte all'appassionato racconto della propria vita, anche quando si polarizza per un po' su calcio e fica. È giusto così, è normale così. Non trovo davvero motivi per rifiutare lo sguardo di un autore che si rivolge al proprio passato in cerca di ciò che l'ha portato a diventare quello che è.
Forse, rispetto ad altrove, è proprio il fatto di aderire alla realtà che gioca leggermente a sfavore della ricchezza complessiva del film. Non tutte le vicende sono memorabili, ci sono dei passaggi a vuoto, dei silenzi o dei dialoghi poco eloquenti, ma mi sento di perdonarglieli. Proprio in nome di quell'autenticità che plasma l'intero lavoro. Sorrentino non ha paura a mostrare la sua realtà in purezza, senza filtri e censure, la gente parla la sua vera lingua, non c'è nobilitazione posticcia; i discorsi sono quelli che sono, il calcio, Maradona, la fessa. Basta e avanza così, perché in ognuno dei personaggi i temi si riverberano diversamente: la splendida madre coglie il lato umano del tifo, lo zio Alfredo un po' filosofo erge a simbolo qualsiasi cosa. Insomma, c'è una lettura in filigrana degli esseri umani senza inventare nulla o imbellettare una vita che era fatta ed è fatta anche di tante meschinità, di tanta mediocrità, di miti veri o falsi, di generosità o inganno, di ignoranza e di sogni.
È proprio questo il pregio non comune del film: pur attraverso un racconto sostanzialmente realistico disegna anche molte trame ideali, fa un ritratto sociale e familiare che non regala nulla ma non è per ciò impietoso, bensì pregno di quella dignità che caratterizza chi non si vergogna delle sue origini, chi ha vissuto una realtà "scadente" e ha fatto tutto il possibile per nobilitarla con il proprio agire, ma senza per questo falsificarla o nasconderla.
Con questo film, la minaccia cogente (il ricordo) di una realtà opprimente e il sogno di una vita bella e luminosa come il cinema si toccano, si ricongiungono, senza annullarsi, convivendo in magico equilibrio.
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