"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta. Prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico."
(Proverbio cinese)
In via generale, sono abbastanza pessimista circa le sorti del genere umano e considero folle e inarrestabile il degrado e l’impoverimento culturale della nostra inciviltà. Colpevolmente, non mi batto per cause ambientaliste, perché sono rassegnato all’estinzione di tutte le specie e a un futuro dove tutti terremo pecore elettriche sulle nostre terrazze da mostrare con orgoglio ai vicini quando viene la sera. In particolare, sento che noi italiani abbiamo perso le radici e la nostra più vera identità e che, se pure c’è stata una pagina più o meno breve della nostra storia più o meno recente che lasciava intravedere possibilità e prospettive di sviluppo e di crescita non solo economica - giacché ritengo questo aspetto solo secondario e comunque consequenziale a una cresciuta morale e culturale di un paese, soprattutto di un paese che, tutto sommato, almeno per una buona metà se la passa piuttosto bene e, in generale, se la passa decisamente bene considerando gli standard internazionali, che sono poi gli unici che veramente contano secondo una ottica internazionalista e volta a una corretta ridistribuzione del reddito sulla faccia dell’intero pianeta - questa occasione è stata fallita e totalmente annullata da quanto è accaduto negli ultimi venticinque o trenta anni di storia italiana e internazionale.
Fermi tutti! Consapevole che questo mio atteggiamento negativo sia assolutamente deleterio, mi ci provo comunque nel mio piccolo a fare “quello che devo fare” e a vivere la mia vita provando a perseguire rigide regole morali e etiche che mi sono prefissato, ma allo stato attuale delle cose non vedo alcuna possibilità di cambiamento e di miglioramento. Il destino di tutte le persone e di tutte le cose mi appare segnato, ineluttabile, già scritto e se possibile catastrofico. In compenso, leggo i testi asimoviani come se fossero una bibbia e immagino che un giorno l’uomo potrà nuovamente uscire dal suo “guscio” e crescere, tendere verso altri pianeti e magari ricominciare e forse scrivere pagine di storia futura diverse da quelle che conosciamo.
Ma torniamo sulla Terra. Come dicevo, di solito non prendo parte alle vicende della vita umana e resto in disparte, seduto a guardare con più o meno interesse i comportamenti e la vita dei miei simili. Fossi vecchio passerei le mie giornate seduto su di una panchina in piazza a guardare tutto quello che succede, sputare ai piccioni e strizzare l’occhio a qualche giovane ragazza infastidita dal mio aspetto decadente e dal fetore dei miei pannoloni, a registrare nella mia testa i lenti gesti e accadimenti di tristi giornate tutte uguali e meravigliarmi dell’inutilità della ripetitività delle azioni degli esseri umani. Ma non sono vecchio, e prima di potermi definire tale passeranno ancora molti anni. Forse troppi. Sicuramente troppi secondo l’attuale e futuro sistema pensionistico italiano. Ciò non toglie, al contempo, io, insospettabile “guardone”, non possa comunque essere già oggi osservatore e spettatore interessato a tutto ciò che mi accade attorno, quando sono fuori. Questo interesse, allucinante e che oserei definire quasi scientifico, nasce da due stati di fatto indubitabili:
1. Esco di rado.
2. Parlo ancora meno.
2bis. Scherzavo. Nei fatti la mia vita è abbastanza piatta. Non mi succede mai niente, né, come vi dicevo, mi aspetto possa accadermi qualcosa e ci possa essere una qualche scossa nella mia vita destinata a cambiare il mio modo di vivere e di vedere le cose.
Non è stato sempre così ovviamente. Ci sarebbe stata una possibile svolta nella mia vita e scioccamente immaginavo questa svolta potesse avere le sembianze di una ragazza. Così, a un certo punto della mia vita, quando questa stava completamente deragliando a velocità folle e incontrollata, ho conosciuto una donna dai capelli ricci, neri, e dai grandi occhi dentro i quali credo di essere ancora perso e incapace di ritrovare la via di uscita. E’ così che deve essere cominciata. E’ stato quando questa, pochi mesi dopo l’inizio della nostra relazione, ha deciso di lasciarmi, che, sforzandomi di capire le sue ragioni, ho cominciato uno studio degli esseri umani, dei miei simili e dei loro comportamenti. E’ stato così che ho cominciato a desiderare di non essere mai esistito, ma al tempo stesso ho preso a interessarmi alla vita.
Ora, mi rendo conto che molti di voi non sono sicuramente appassionati ai festival. Nemmeno io lo sono: in generale sfuggo tutte le occasioni di ritrovo e di possibile incontro con i miei simili. Inoltre i cast sono spesso nel complesso scadenti e le birre, che pure costano sempre troppo per le mie tasche, sono comunque inevitabili al cospetto del quattromillesimo concerto dei 24 Grana e di mediocri band che inneggiano a videogiochi degli anni ottanta. Ma allo stesso tempo i festival sono una interessante opportunità. Non c’è nulla di meglio per sedersi sulla riva del fiume e vedere passare la vita. Meglio ancora se questa è di sesso femminile, di giovane età e di bello aspetto. Ma in via generale non vado troppo per il sottile e mi accontento di quello che passa il convento.
Il Neapolis Festival, quest’anno, vedeva come headliners delle due giornate artisti di cui non mi importa assolutamente nulla: Fatboy Slim, nei fatti confermatosi niente altro che un dj, con tutti i mali che ne possono conseguire (“Hang the dj, hang the dj, hang the dj!"); Jamiroquai, le cui melodie e i ritmi funky da ragazzetti benestanti della Miami bene avrebbero fatto venire il voltastomaco a quel vecchio brontolone di Philip Marlowe, già duramente provato dalla decadenza della sua Hollywood e dai suoi tristi abitanti, da troppi anni passati a rimestare nella merda della nostra società. Fortuna ha voluto che, nella seconda giornata, tra i gruppi che componevano il cast della due giorni partenopea, vi fossero i Perturbazione, formazione torinese di cui avevo perso le tracce da qualche anno a questa parte e che in effetti pensavo avesse mollato e si fosse ritirata dalle scene.
Evidentemente mi sbagliavo. I Perturbazione hanno pubblicato un ultimo, ottimo, disco, eloquentemente intitolato “Del nostro tempo rubato” e fatto di ventiquattro nuove canzoni frutto di tre anni di vita più che di lavoro, solo due mesi fa e, stando anche alla loro ultima esibizione, appaiono vivi e vegeti e si sono confermati per il sottoscritto una delle migliori realtà live italiane e in generale una band dallo spiccato senso della melodia e una scrittura tanto intelligente quanto semplice, scarna e, se pure poco pretenziosa e artefatta nella forma e nella estetica - vedasi, per dire, gli Amor Fou - emotivamente coinvolgente e di grande impatto. Inoltre forte di un frontman, Tommaso Cerasuolo, bravo e intelligente come pochi altri dei suoi colleghi italiani.
Un'ora di concerto che è stata una piacevole riscoperta a troppo tempo di distanza dall’ultima volta che li avevo visti suonare dal vivo, una torrida sera di agosto di qualche anno fa, nella bassa emiliana. Prima che la mia vita mi crollasse addosso e cominciassi a logorarmi e imprecare, prima che cominciassi a trascinarmi giorno dopo giorno in attesa della fine di tutte le cose. E’ stata una occasione per guardarmi indietro e commuovermi anche di tutte le cose che sono andate più o meno male nella mia vita, ma, come sempre, anche questa volta quando ho guardato al presente e al futuro non ho visto nulla. Perché la mia visione pessimistica di tutte le cose e il mio catastrofismo non ammettono ci possa essere un futuro che valga la pena di essere vissuto e del resto questo mio costante stato di tensione e di insoddisfazione mi impedisce di godere del presente.
Ma non mi lamento. Credo, negli ultimi anni, di avere acquistato una certa consapevolezza dei miei difetti e di averne forse afferrato i meccanismi. Mi nascondo dalla vita perché è evidente che non riesco a gestirne le continue e ripetute emozioni. Mi sono condannato a un futuro catastrofico, ma preferisco starmene in disparte a guardare la vita degli altri, piuttosto che rischiare la mia, o farmela raccontare dalle canzoni dei Perturbazione. Non mi lamento, no, ma a volte vorrei vivere nelle loro liriche e nelle loro canzoni. I Perturbazione non cantano della voglia di vivere, né offrono facili soluzioni ai problemi della vita di tutti i giorni - ma di facili soluzioni non ne ha in tasca nemmeno Lou Reed in New York. Sono spaventati quanto noi da questo mondo che sembra essere impazzito, ma, nonostante ciò, continuano a rincorrere il “senso della vite” e ci invitano a godere fino in fondo di ogni attimo e di ogni aspetto della vita, bello o brutto che sia, piuttosto che preoccuparsi sempre delle conseguenze di ogni gesto, di quello che accadrà domani e di rubare tempo al nostro tempo a venire.
Ho passato tutta la vita seduto sulla riva del fiume e credevo di vedere scorrere la vita, quando ho visto, invece, passare il mio cadavere. Prossimo allo zero, ora nella vita vorrei essere un eiaculatore precoce.
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