Più che l’ultimo, inaspettato disco di una delle più grandi band del pianeta, “The Endless River” rischia di passare alla storia come un processo alle intenzioni nei confronti dei propri autori. Tanti si sono infatti soffermati sulla reale necessità del progetto, se sia giusto o meno far uscire un un disco di demo o poco più come ufficilae, se sia stato fatto per “love of money” o per sincero e passionale ricordo dello scomparso Wright. Dunque, il “The Trial” di watersiana memoria incombe sui superstiti di un’idea musicale, quasi mai sbiadita dal tempo, quasi mai forzata come nel primo period post Waters, quando I Floyd licenziarono due album alquanto debolucci come “A Momentary Lapse of Reason “ e “The Divison Bell. Se ha un grande merito questo “The Endless River” è proprio quello di meritarsi l’appelativo di manifesto degli ultimi anni floydiani, essendo qualitativamente di due o tre spanne superiori ai suddetti anonimi lavori della ditta Gilmour-Mason (e Wright).

“The Endless River” non proprone novità, non salver la musica da un presunto momento stantio, non sarà la panacea di tutti mali croinici dell’industria discografica. A seguito dello scontato boom iniziale, cadrà quasi nel dimentictaoio degli scaffali reali e vituali dei negozi, nessun suo singolo o estratto passerà con insistenza alla radio. Probabilmente è questo il suo vero punto di forza: suonare “vecchio”, suonare Floyd, suonare come avrebbero dovuto e voluto I Pink Floyd del “Post War Dream”,concedendo alla musica la stessa dignità delle liriche opprimenti (in senso prevaricante) di Roger Waters. E’ tutto ciò che un vero feticista del gruppo avrebbe da sempre voluto sentire: quel qualcosa alla “Shine On” ("It’s What We Do”), quel qualcosa alla “Saurceful of Secrets” (“Sum” ma anche “Autumn ’68), una nuova “Us And Them” (“Anisina”) e finanche una “Run Like Hell” (“Allons-Y Part 1 e 2”). Gilmour, Mason e la buon’anima di Wright fanno ciò che devono fare: riscaldare le ossa infreddolite dei fans accanto al fuoco, avvolgendolo nel tema principale caro alla storia del gruppo: la mancanza di qualcuno, la malinconia post-perdita.

Probabilmente non sarà il migliore ma di certo è il più sincero e accorato degli addii. La ricerca della qualità e non della novità a volte può esser sufficente.

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