Tutti gli artisti attraversano sempre carriere che hanno alti & bassi e corrono su curve gaussiane come i carrelli delle montagne russe. Nel caso dei Plastic Tree questo fenomeno è particolarmente visibile, pur nonostante non si rilevi nel fattore del successo economico, ma in quello della qualità musicale. Per motivazioni che ancora non mi so spiegare, infatti, fra gli album di questa band giapponese si alternano produzioni di eccellente qualità (come Träumerei ed Utsusemi) ad altre più opache dove risplende solo qualche canzone qua e là (come Shiro Chronicle). Paradossalmente, però, questo fenomeno non si riflette sulle vendite, che invece paiono essere sempre abbastanza gratificanti, se non addirittura seguire il fenomeno inverso a quello della qualità.

Fatto sta che nel 2003 i Plastic Tree hanno pubblicato quello che è probabilmente l'album più debole della loro carriera (eppure uno dei più venduti), ovvero Shiro Chronicle: negli 11 brani che lo compongono non mancano episodi interessanti, ma penso che basti dire che due dei tre singoli estratti erano cover per far capire che forse non era il momento più ispirato della band. A questo punto mi sarei aspettato un album eccellente per risollevarsi da un momento di défaillance. Invece nel 2004 è arrivato cell., album con una copertina strana ed un titolo ancora più strano: puntato, privo della fine ed a cui è stata negata persino la maiuscola. cell. non è l'album della grande risalita dei Plastic Tree, è piuttosto l'album che inaugura una nuova fase per la band. Diciamo che, riprendendo l'esempio del grafico, il suo valore y si pone a metà fra quello di Shiro Chronicle e quello del successivo e stupendo Chandelier: è una lunga, ma fruttuosa salita, invece dei soliti ripidi sù e giù. L'album segna la fine, potremmo dire, dei Plastic Tree oasisiani e l'inizio dei Plastic Tree bluriani: maggior sperimentazione, arrangiamenti dissociati, attenzione alla scena alternative internazionale, e per la prima volta uso massiccio dell'elettronica (curata dal chitarrista Akira Nakayama); resta l'amore per il grunge, il dark e per un certo post-punk che si divertiva a premere i tasti del pedale della chitarra in maniera diversa da come si sarebbe dovuto fare, ed anzi tutto questo è esaltato e, soprattutto nelle canzoni composte da Akira, raggiunge un livello decisamente convincente. Un altro aspetto interessante è che sembra che i quattro componenti della band si siano scambiati gli strumenti: le canzoni composte dal bassista Tadashi Hasegawa sono ricche di momenti solisti per chitarra, quelle del cantate Ryutaro Arimura sembrano dedicate a mettere in luce il batterista Hiroshi Sasabuchi e quelle del chitarrista Akira si basano su precise linee di basso. È curioso inoltre notare che la cover non mostra la band, e nel libretto ci sono pochissime foto dei quattro musicisti, giusto il minimo sindacale: è una stranezza da non sottovalutare, perché il visual kei senza foto è come il drum & bass senza basso (o quasi); forse i Plastic Tree celano i loro volti sotto abiti spenti e luci scure perché sono in una zona d'ombra in cui nemmeno loro riescono a riconoscere sé stessi. Forse vogliono allontanarsi dal loro vecchio io e cercare una nuova via... ma per arrivare dove? La grande variegazione dei generi diventa quindi, sotto quest'aspetto, un elemento davvero importante, ed infatti in appena un'ora di album s'assiste ai momenti industrial di cell ed a quelli effimeri di Yuki Hotaru, alla scossa brit-pop di Kaibutsu-kun ed all'elettronica indie e divertente di Uwa No Sora; su tutte, però, domina le la contrapposizione massima fra eros e thanatos con la canzone più romantica in assoluto della band, quella Harusaki Sentimental che è puro genio sulla tastiera di un pianoforte, e la ghost track che penso farebbe invidia anche ad una band doom. Tutto molto eterogeneo e, soprattutto, senza la volontà di provenire da un'unica idea generatrice, ma anzi dando proprio l'impressione di voler tentare più strade sentendo il desiderio di chiudere una porta per aprire un portone.

Dopo questo esperimento post-moderno i Plastic Tree continueranno a salire sulla curva di Gauss fino a coniugare in maniera eccellente pop, rock e grunge (sfida apparentemente impossibile) ed arrivare a Chandelier (che li ha resi davvero famosi), ma al momento restava comunque l'interesse per un tentativo che, chissà, li avrebbe potuti portare in tutt'altra direzione.

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