La copertina è eloquente. Siamo nella merda. Fino al collo. Siamo nel 1971 ma potremmo essere nel 2005. Il mondo si è illuso, ha provato a tenerci tutti uniti, tutti abbracciati, ma non c'è riuscito. Nel caso dell'universo afro-americano i tentativi sessantottini di coloro, come Sly & The Family Stone, che si erano posti a bandiera di un popolo, per annullare differenze di colore, per farci sentire tutti uguali e in pace, sono falliti nel giro di pochi anni. Cosa resta di quelle illusioni, di quando si brindava alla solidarietà e alla libertà? Tonnellate di acidi ancora da consumare e sviluppi musicali incredibili, da parte di ogni genere, di ogni tendenza sonora. Ed è qui che arrivano George Clinton ei suoi fedeli compagni di groove e sbronze.

Clinton è l'ultimo tassello dell'intensissimo percorso che nel giro di neanche un decennio ha portato gli afro-americani dalle candide performance soul-pop della Stax e della Motown, passando per i primi furori di James Brown, fino alle esplosioni psichedeliche di Sly Stone e di Jimi Hendrix,. Proprio questi ultimi due luminari della nuova musica sono le principali ispirazioni del suono delle due band che in contemporanea Clinton fonderà, i Parliament e i Funkadelic. Superficialmente i due gruppi s'assomigliano (visto che tra l'altro i musicisti erano quasi sempre gli stessi) e si pongono lo stesso obiettivo, cioè salvare il funk e anzi farlo crescere fino a ingigantire, deformandole, le intuizioni degli predecessori. E' qui in questo anno capitale che le generazioni sopravvissute si devono spartire le eredità di chi si sta bruciando o di chi si è già bruciato. Simbolicamente il funk si dividerà in due, la via meno ostica e più malleabile per il mainstream, capitanata da Stevie Wonder e in seguito abbracciata anche dalla maggior parte degli artisti neri, e il filone dei Parliament e dei Funkadelic, cioè quello più cattivo, assurdo, sperimentalista fino all'eccesso. Entrambe le strade capitoleranno sostanzialmente alla fine del decennio, ma non prima di aver portato il genere al suo apice, raggiungendo il culmine irripetibile della musica nera.

Se ai Parliament è affidato il compito di produrre una musica più ballabile, morbida, lucida e se vogliamo più amichevole e precisa, i Funkadelic (Funk+Psychedelic) sono il lato più feroce, imbevuto spesso di droga, che si spinge di più verso l'hard rock hendrixiano amalgamandolo con una visione della musica e della vita come allucinata, ma non abbastanza da non poter essere una continua protesta verso il sistema e le sue contraddizioni. La denuncia dell'alienazione, della mediocrità e del materialismo del mondo (soprattutto quello americano) sono il leit-motiv di molte delle canzoni del gruppo (mentre i Parliament tendono a nascondere la protesta politica sotto un'affascinante maschera edonistica)."Maggot Brain", può essere in questo senso uno degli album più esemplari della formazione. "Testa Bacata" può diventare il ritratto di chi odiamo come di noi stessi. E' la rabbia gridata quando siamo sommersi dai problemi e cerchiamo un colpevole, o almeno una soluzione. Ma non è una rabbia prevalente verbale, bensì musicale. Gli abitanti del mondo cominciano ad essere incazzati e la vecchia "Masters Of War" sta diventando sempre più veritiera. E in quel periodo storico forse i neri erano i più incazzati di tutti. Inseriti a forza in una comunità che non li voleva, si armano qui come mai prima di allora per scardinare ogni regola prescritta del soul o del blues.

La forma-canzone viene distrutta sotto i colpi di una musica selvaggia, apparentemente galoppante senza una meta, jam di decine di minuti o di pochi secondi, singoli anti-classifica da tre minuti, dove si prova tutto il provabile. Da devastanti deliri di chitarre distorte e bassi cavernosi (su gentile concessione del pirotecnico Bootsy Collins), con messaggi urlati come proiettili, si può capitare in sedute dove in trance i membri cantano, mugolano, suonano senza schemi o ritornelli, magari solo con un motivo ricorrente che si ripete per tutta una "canzone". Spesso ci sono veri viaggi interiori, l'uomo nero post-"What's Goin'On" vuol far vedere quel che è, quel che è sempre stato, fuori dall'universo patinato di Sam Cooke o Diana Ross. "Hit And Quit" è la "Search And Destroy" nera, rallentata e parodizzata, con tanto di coretti sexy di coriste-muse (vedi l'art-work dell'album, come del precedente, mitico "Free Your Mind...And Your Ass Will Follow", con nudo integrale in copertina). "Can You Get To What" è folk-blues in una salsa gospel che richiama non tanto un clima di serenità, quanto di una preparazione bizzarra a un'imminente apocalissi. "Super Stupid" è l'hard-funk nel suo massimo splendore: intro da acid rock e poi voce deliziosamente arrogante che grida sotto chitarre pesantissime, quasi metal, e l'organo dilatato e stordito di Bernie Worrell a scandire i passaggi, a far eccitare o frenare il pezzo. Presto si fanno chiare le peculiarità del mondo di Clinton, cantante/chitarrista ma soprattutto deus ex machina del progetto, che mira a creare un suono e un identità inconfondibile, quella del "P-Funk sound" (Parliament+Funkadelic), fatta di un ironia cattiva e spesso piena di trionfante volgarità, che creerà il substrato del black-man del futuro, fatto di strafottenza, tante "bitches" da strapazzare, droga e magiche jam-session all'ultimo sangue con gli amici. Il problema è che per fraintendimento ciò che qui appunto si professava solo come sarcastica reazione all'impotenza dell'uomo moderno di cambiare le cose, è diventato legge, bibbia per i tanti seguaci musicali e non del P-Funk. Le Maggot Brain si sono moltiplicate e hanno preso il sopravvento.

E noi? Amareggiati e incazzati più di allora non possiamo che andare a rifugiarci di nuovo in questo scrigno di intelligenza, creatività Zappiana e parolacce.Ci andiamo a riascoltare quella magnifica title-track, uno dei più incredibili mini-concept strumentali mai composti nella storia della musica. George, nell'intro, identificandosi con un nascituro figlio della Madre Terra, si autoesorta: "I have to rise above it all or drawn in my own shit" . E inizia un lungo percorso, una lunga camminata senza commenti, solo un lento arpeggio di chitarra, una sottilissima e appena percepibile batteria, e quell'assolo, la voce dell'umanità sofferente attraverso la chitarra solista di Eddie Hazel (a cui era stato detto: "suona come avessi scoperto che tua madre è appena morta") che ci accompagna, ci mostra la nostra vita, la colonna sonora di un documentario sui nostri amori, le nostre lacrime, i salti di gioia, le sere al buio da soli. Fuori dalla finestra gli alberi al tramonto si muovono lenti seguendo questa melodia, e tu ti stupisci, non ti aspettavi questo finale. "Go, go maggot brain...".

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