STATE CALMI E ACCELERATE (QUANDO SORPASSANO A SINISTRA).

Avete presente il protagonismo del cranio pelato di Michael Stipe, no? Espressivo, lucido come quello antico e virile di Yul Brynner, epoca "Il re ed io". Beh, dalle foto con intervista su noto mensile di musica e scazzi vari, il mio occhio furtivo informava lesto le cellule neurotiche dell'imminente coming up di un nuovo album R.E.M. Nelle parole e sicure affermazioni dei tre ormai stagionati atheniesi, il prossimo disco sarebbe stato un deciso ritorno alle sonorità elettriche di "New Adventures In Hi-Fi". Oltre, insomma, le discussioni e mugugni degli ultimi lavori in studio, con sopra stampato un adesivo + abrasivo e meno remunerativo del parental advisory: "bolliti". Michael, Peter e Mike preparavano la loro piccola riscossa, in silenzio, tra gli studi di Dublino, Vancouver e Athens col produttore trendy ma concreto Jacknife Lee. Era giunto il momento di spingere quel dannato pedale e, appunto, "accelerare".

Il quattordicesimo sigillo targato R.E.M. è di gran lunga il più chitarroso degli ultimi dieci anni. Secco e immediato al pari d'una frustata nei suoi 34 minuti di svisate & impeti rock, con decelerazioni meditative sospese tra folk e attualità. Compatto e nervoso, (quasi) che gli anni ruggenti di "Life's rich pageant" fossero ancora così vicini, e noi non lo sapevamo. No, non sono tempi questi per la preghiera laica di "Fall On Me" o d'una "Begin To Begin" a scuoterci pancia e testa, ma può bastare. Possono bastare 11 brevi tracce a rimpolpare una vecchia passione che alimenta, nonostante tutto, la scintilla nell'età mediana di questi uomini. A volte con il piglio un pò furioso e fuori luogo di Rickenbacker e ampli a tutto volume, per rimarcare un suono aspro e quadrato, buona la prima e fanculo l'estetica ragionata delle ultime produzioni.

E i testi? Tornano mestamente alla fonte della (dis)illusione reaganiana di "Document", aggiornati al Bush 2.0. Questo "Accelerate" ha un suono spigoloso che i tre remiani orfani, ermetica creatura tripode, avevano dimenticato. Spigoloso come la "Composizione VIII" di Kandinsky lasciata a marcire nella polvere d'una stradina polverosa di Marfa, Texas.

L'incipit frenetico di "Living Well Is The Best Revenge" è in equilibrio costante tra chitarre rugginose buckiane, la voce salmodiante di Stipe e i cori sixties del bassista Mike Mills. "Man-Sized Wreath" ha il riff roccioso dei bei tempi, andatura caracollante che sbiadisce il ricordo pop dei R.E.M. anni Duemila. L'onesto singolo "Supernatural Superserious" cerca di rinnovare un discorso che da "Just a touch" passa per "So fast, so numb", mentre "Houston" spicca nei suoi due minuti scarsi di ricordi acustici e malinconie seppia. Tra "Mr. Richards" (Keith?) che volge lo sguardo sulla collina della classicità d'un Dylan-elettrificato e la melodia un poco astratta di "Sing For The Submarine", colpiscono l'intro al piano nel mid-tempo asciutto di "Hollow Man" e il ritmo sostenuto, inusuale per i Nostri di "Horse To Water". La ballad "Until The Day Is Done" porta impresse le stimmate Made In Athens, Georgia. E la finale "I'm Gonna DJ" chiude i conti col passato recente, e apre le porte a una nuova voglia di farsi ascoltare ad alta voce nella folla.

La democrazia è il migliore dei sistemi peggiori: "Non funziona sempre, ma quando lo fa è grandioso." (Peter Buck).

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