Chiariamo subito una cosa: "Leaving New York" è la più bella canzone dell'anno. E, onestamente, non è nemmeno così paracula come qualcuno accusa: è semplice una deliziosa e commovente ballata, l'ennesima dimostrazione di come i "mostri sacri" di Athens siano ancora capaci, 20 e passa anni dopo il loro esordio nei primi anni '80, di emozionare con accordi scontati e una semplice sezione batteria-basso-chitarra-voce. "Leaving New York", che è già da annoverare tra i grandi classici dei R.E.M. quasi alla pari delle stranote "Losing My Religion" e "Everybody Hurts", varrebbe già da sola il prezzo del cd.

Nuovo disco, il tredicesimo della loro carriera, che per la prima volta vede i tre paladini dell'Indie Rock americano nell'immagine, seppure offuscata, di copertina: un album che riflette, tanti anni dopo i fasti di "Document" e "Green", l'attitudine della Band a cantare dei malesseri e delle dure realtà degli U.S.A. e, più in generale, del mondo intero. Una riflessione che però non è pedante e autoreferenziale come tanti sono capaci di fare, bensì assorta, tesa, a tratti pervasa di un'apatia senza speranza. E' questo l'elemento che contraddistingue le liriche ancora una volta composte dal leggendario Michael Stipe, uomo simbolo di un gruppo che tra un disco e l'altro ha illustrato attraverso le proprie tensioni interne i cambiamenti del mondo stesso.

Perchè, se il precedente "Reveal" (in assoluto il loro peggiore lavoro, insipido e senza idee) voleva essere solare e rilassante (uscì diversi mesi prima dell'11 settembre), questo "Around The Sun" ci ripropone i R.E.M. in una delle loro vesti più riuscite e acclamate: menestrelli malinconici in un mondo che sta andando avanti troppo velocemente per la misura umana e che sta dimenticando il vero valore e il vero senso delle nostre vite. E' uno Stipe che, dopo tanto tempo, riscopre di conseguenza il piacere di parlare direttamente alla gente, ed ecco spiegata l'assenza delle chitarre elettriche, poco consone al Mood dell'album...l'atmosfera è dimessa, ma allo stesso tempo viva.

Dimessa è la cantilena "Electron Blue" che si sviluppa su un tappeto minimal-elettronico per poi lasciarsi andare dal ritornello teso e deciso; in "The Outsiders" abbiamo un Beat piuttosto anomalo per le produzioni dei R.E.M. e una nuova voce ospite che segue Katie Pierson, KRS One, Thurstoon Moore e Patti Smith, ossia il rapper Q-Tip (e qui ci si ricorda di "Radio Song"). Il disco di riferimento, per quasi tutti i brani, sembra "Automatic For The People", uno dei più belli della Band: la splendida ballata "Make It All Ok", semplice ma emozionante in certi versi come "… hai dato il tuo ultimatum, ma il mondo è troppo vasto per noi ora; Gesù mi ama, ma le sue parole cadono stonate in questi tempi..." e in queste poche frasi si potrebbe racchiudere il concetto base dell'album. "Final Straw", fortemente politica e folkeggiante, sembra una loro rilettura della "Working Class Hero" di John Lennon: anche qui l'album di ispirazione è il capolavoro targato 1992.

"I Wanted To Be Wrong", eterea e polemica sin dal titolo, è un grido di rabbia di Stipe che nel Refrain dice che "… tutt'intorno suona come una canzone che non riesco a capire..."; "Wanderlust" è, a sorpresa, un brano quasi in stile Britpop anni '90 che riporta la mente ai Blur più poppeggianti; "Boy In The Well" è un'altra ballad acustica, piuttosto notturna e "fumosa", resa soffice dall'apporto di un organo Hammond; "Aftermath", titolo rollingstoniano e andamento che ricorda qualcosa dei Waterboys o dei Creedence Clearwater Revival è invece il brano meno indovinato del disco. "High Speed Train" parte con distorsioni in Feedback come sottofondo, un piano minimalista e rumori distorti, soffocati, con Stipe che rifà sè stesso ai tempi epici dei primi criptici classici, "Pilgrimage", "Stumble" e "Camera" ("… salto su un treno ad alta velocità, non guarderò mai più indietro, da Berlino, Kioto o Marsiglia, andrò ovunque per te…”) e riproponendo il tema del viaggio, già affrontato in "New Adventures In Hi-Fi". "The Worst Joke Ever" passa in pochi secondi dall'intimismo à la "Country Feedback" con inserimenti sonori di svariato tipo (prassi consolidata sin dal controverso "Up") al ritornello epico, drammatico e ricco di campane, archi e accordi maestosi per una sensazione d'insieme irrimediabilmente fatalista. "The Ascent Of A Man" è più souleggiante, con una chitarra funk e un basso pulsante, evoluta poi in un refrain che gioca molto sul contrasto tra le tonalità basse e alte di Michael Stipe, ricordando addirittura certi Pink Floyd degli anni '70: uno dei brani più interessanti.
Chiude la title track, "Around The Sun", sofisticata ma allo stesso tempo leggera..e udite, si percepisce di sfuggita il jingle jangle tipico della Rickenbacker di Buck: il finale è una festa di cori e colori, quasi a volere simboleggiare l'ultima speranza("fatti un giro intorno al sole, mondo, tieni duro perchè ancora non sto saltando giù..voglio il sole su di me, voglio la verità per essere libero"), la mano tesa ad accarezzare il mondo sussurrando la morbida ninna nanna che mette la parola fine a questo disco superbo.

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