Secondo disco per gli Skindred di Benji Webbe che, dopo lo scioglimento dei Dub War sul finire degli anni 90, riparte alla grande con un nuovo progetto andando oltre le formule della sua precedente band, influenzato dal momento musicale (che vedeva regnare incontrastati i derivati dei Korn e dei Sepultura di "Roots") già dal debutto "Babylon" del 2002 il dub-reggae dei Dub War si contamina di nu metal, hip pop, crossover e hardcore-punk.

Nel secondo capitolo del 2007 gli Skindred fanno dei passi da gigante per quanto riguarda il songwriting (che nel debutto era un pò troppo statico e canonico) e osano il più possibile sotto tutti i punti di vista incorporando anche moltissimi elementi iper-catchy derivanti dalla world music e ai limiti del pop.

Questo sperimentare e frullare generi in teoria molto diversi potrebbe portare la band a naufragare verso un calderone indistinto e confuso, gli Skindred non ci cascano e riescono a rendere questo mix multi-etno-musicale molto personale ed originale, cosi da poter utilizzare certi breakdown alla System of a Down, i tribalismi dei Soulfly di "Primitive", il gusto latino degli Ill Nino (in salsa giamaicana) senza sembrare nè una copia dei System of a Down nè dei Soulfly nè degli Ill Nino, ma suonando profondamente Skindred, a questo si aggiunge una versatilità vocale del buon Benji impressionante, capace di spaziare i più vari timbri in una maniera tanto abile quanto lo è quella della band di saltare improvvisamente da un genere all'altro.

Cosi si balza facilmente dall'impeto hardcore dell'iniziale "Roots Rock Riot" e di "Spit Out the Poison" alle melodie pop di "State of Emergency" e "Trouble" passando per quel piccolo gioiello di "Destroy the Dancefloor" forse la traccia più rappresentativa dell'album (assieme alla schizoide "Cause Ah Riot") che presenta anche forti infiltrazioni di elettronica e un notevole tappeto di chitarre, il reggae-punk-metal di "Ratrace", "Almight" e "Rude Boy For Life", il dub-rap di "Killing Me" sorretto da riffs nu metal, un ritornello melodico e un bridge ricco di campionamenti, in "Ease Up" si passano il testimone un incipit punk, un prosieguo e un bridge più dub e infine un refrain prettamente da world music, spunta un groove più tozzo e strisciante nella conclusiva "Choices And Decisions" con un ritornello hardcore dall'intento anthemico (non perfettamente riuscito comunque).  

Un disco molto catchy che può essere apprezzato da un'ampia gamma di ascoltatori, specialmente da quelli più open-minded che amano un certo tipo di musica "taglia e cuci" che osa e sperimenta.

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