"Tweez": ossia, quasi mezz'ora di rivoluzione.

Tutto era iniziato a Louisville, dove, dalle ceneri degli Squirrel Bait, il cantante e chitarrista Brian McMahan e il batterista Britt Walford incontrarono David Pajo ed Ethan Buckler, altri due ragazzi con diversi interessi in comune. Grazie all'incontro con il "deus ex machina" Steve Albini, nel 1987 inizieranno le registrazioni della loro opera prima, pubblicata due anni dopo. Questo è "Tweez".

Ma non era un gioco. O forse lo era, ma non nelle loro intenzioni. Fatto sta che le nove canzoni contenute sono dense di vita propria, tanto da sconvolgere ancora una volta la storia del rock.

Pura pazzia, voglia di spaccare in due il muro del suono, con l'ausilio di chitarre graffianti (un Pajo che fa un lavoro come pochi) ed il parlato di McMahan che fa quasi cronaca. Ogni canzone è dedicata ad un parente molto caro ai quattro musicisti (a parte "Rhoda", dedicata al cane di Britt Walford), ma sembrano quasi dei brani capaci di esprimere anche le sensazioni interiori di ognuno di noi. Se siamo pensierosi, se siamo riflessivi. O se ci sentiamo, come avrebbe affermato sei anni dopo il Clementi, "come il soffitto di una chiesa bombardata".

La ricetta di "Tweez" è costituita da riff prima totalmente rozzi e duri, intervallati da suoni metallici e distorti ("Ron", "Carol"), poi un po' più calmi, almeno per un attimo, prima di esplodere ancora una volta nelle nostre orecchie ("Kent", "Charlotte"), o addirittura capaci di giungere in digressioni più complesse del solito ("Rhoda", "Nan Ding", "Pat"), o in arpeggi come pochi al mondo ("Darlene").

La rabbia di McMahan non è una rabbia qualunque, è qualcosa di distruttivo, un'incapacità di trattenersi da certe cose dinanzi a sè, la sua voce è quasi strozzata ("Warren"), o addirittura distorta ("Pat"), un vortice da cui è impossibile scappare. Non si può opporre resistenza.

Tutto è distrutto, a pezzi, in frantumi, ma rimane un luogo dove rifugiarsi. Sì, una macchina, quella macchina presente anche nella copertina, dove gli Slint possono montare e scappare (escluso Buckler, che lascierà il posto al non meno bravo Todd Brashear) per poi giungere, tre anni dopo, nella "Terra dei ragni", realizzando il disco che ha consacrato definitivamente la loro musica (appunto "Spiderland").

Di lì a poco, un mini EP, lo scioglimento, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la tanto desiderata reunion.

Aspettando ansiosamente un nuovo CD in studio, lode e gloria a Mr. Albini, ovvero colui che ha fatto sì che una band come gli Slint potesse esprimere sè stessa in tutte le sue sfaccettature.

Perchè il mondo rock, a quei tempi, non è stato rivoluzionato solo dagli Slint, ma anche da Lui. E non possiamo che esserne grati.

"Now his bridges sigh eternally
we're dead - it was found - at least
now comes to find a book to read
it turns the pages..."

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