Ci troviamo nel 1988. Ma prima di parlare del disco in questione facciamo un bel viaggio indietro di sette anni.
Siamo nel 1981 quando un tizio di nome Glenn Branca dà vita a ''The Ascension'', un disco sperimentale: musica rock da camera. Registrato con quattro chitarre ad altissimo volume, un basso ed una batteria, e pubblicato quasi come una tesi di studio: sperimentazione e analisi della dissonanza e della microtonalità, minimalismo, accordature alternative.
Branca riesce a creare una sinfonia rock che getterà le basi per tutto ciò di cui stiamo per parlare.
Perché questo excursus? Ebbene a quel disco prese parte un certo Lee Ranaldo, che diverrà poi il chitarrista dei Sonic Youth.

Prima di tornare al 1988, specifichiamo che dischi come Evol o Sister altro non sono che forme spontanee di quello che sarà Daydream Nation.
Ma allora cos'ha Daydream Nation in più degli altri? Perché è considerato uno dei migliori dischi di musica Rock della storia? perché l'apice della Gioventù Sonica?
In quegli anni i componenti del gruppo sperimentano, seminano, e finalmente con Daydream Nation raccolgono tutti i frutti del loro lavoro.

C'è musica da sentire, e c'è musica da ascoltare. Daydream Nation è un disco che va rigorosamente ascoltato (meglio se con un bel paio di cuffione o un ottimo impianto audio).
Questo perché sarebbe altrimenti impossibile comprendere il disco per com'è stato concepito.
Daydream Nation altro non è infatti che il perfezionismo degli studi iniziati da Branca nel 1981 con The Ascension, sapientemente rigirati in chiave puramente Rock (non è classificabile come musica d'avanguardia o minimale, i Sonic Youth sono a tutti gli effetti un complesso di musica Rock).
E' uno di quei dischi che può piacere o meno, ma che nel suo ambito rappresenta un lavoro monumentale.

Steve Shelley si consacrerà qui come virtuoso a tutti gli effetti del proprio strumento, la Gordon riuscirà a comporre alcune delle linee di basso più contundenti della sua carriera, ma il fulcro dell'intera opera verrà concepito ancora una volta da Lee Ranaldo e Thurston Moore.

Due chitarre. Due accordature totalmente anormali, eppure studiate nei minimi dettagli.
Per ogni singola nota di una delle due chitarre, l'altra lo contempla, lo esalta, lo completa.
Il vero punto di forza di Daydream Nation sta nel fatto che ogni suono è studiato nei minimi dettagli.
E' un omaggio al rock n' roll, al blues, al punk (concettualmente), ma è allo stesso tempo qualcosa di totalmente nuovo, fresco, e rumoroso.
E' qui che i Sonic Youth maturano e si perfezionano come artisti: una band che pur proponendo musica colta, non è mai scaduta in intelletualismi fini a sé stessi, anzi ha sempre saputo conciliare sapientemente la sperimentazione al classicismo, la novità all'omaggio, e l'ha sempre fatto per una propria scelta ed una propria formazione musicale. (Tra le loro cover più celebri è facile passare dai Beach Boys a Captain Beefheart, tanto per darvi un'idea).

I punti caldi del disco sono molti (Cross The Breeze, Eric's Trip, Hey Jony e Candle in particolare, ma davvero sono tutte imprescindibili), ogni brano ha una sua storia, ogni brano rappresenta il perché Daydream Nation è un'opera monumentale, ma per evitare un noiosissimo track-by-track, mi limiterò a spendere alcune righe su ciò che, per me, rappresenta l'apice dell'intera carriera della band NewYorkese. Il sunto pratico ed affidabile di ciò che sono i Sonic Youth, e soprattuto del perché Daydream Nation è un capolavoro.
Il brano in questione è il conclusivo ''Trilogy''. Una sorta di suite musicale composta da tre composizioni separate, chiamate rispettivamente ''The Wonder''; ''Hyperstation'' e ''Eliminator Jr.''

''The Wonder'' sono con tutta probabilità i quattro minuti e mezzo più malati, contorti ed emozionanti che si possano incontrare all'interno del disco.
Quattro minuti e mezzo di puro Noise-Rock. Un brano che arriva subito al punto: Moore urla freneticamente, il riff è distorto, dissonante, mentre l'altra chitarra suona qualcosa di completamente diverso, eppure il risultato è magico, unico.
Cambi di tempo improvvisi, due chitarre che si amalgano perfettamente. Poi, quasi una Jam apperentemente improvvisata, una batteria tambureggiante. Rock alla massima potenza.
Il caos è ora sapientemente armonizzato da musicisti maturi, al massimo delle loro possibilità, e come dirò sempre, virtuosi del suono più che della tecnica.
Un brano mai più ripetuto all'interno della discografia dei NewYorkesi.
''Hyperstation'' ed ''Eliminator Jr'', completano il rito egregiamente.

E' qualcosa a cui i Sonic Youth non erano mai arrivati prima, non così bene, non in questa maniera.
Col nuovo sound viene a crearsi un gigantesco muro di suoni, ma ognuno dei quattro strumenti è perfettamente ascoltabile singolarmente.
Quattro strade diverse, generate da ognuno dei quattro membri. Un unico, impeccabile, risultato.

Un'opera d'arte che può piacere o meno, un disco che può essere considerato il migliore della band come può non esserlo, ma che di fatto
rappresenta il lavoro stilisticamente più riuscito del gruppo, e uno degli apici musicali del secolo scorso.

La copertina è stata ripresa da un dipinto realizzato nel 1983 da Gherard Ritcher, affermato pittore tedesco.

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