E' inutile: per chi corre, le cuffie sono di gran lunga meglio dei pur meno ingombranti auricolari. Quelle, pur coi loro limiti estetici (per chi cura questo aspetto. Non io, quantomeno non in questo contesto!), garantiscono un suono pulito, potente, perfetto, isolando da ogni rumore esterno. Questi, di qualunque forma o modello voi li prendiate, tenderanno sempre a staccarsi progressivamente dalle vostre orecchie o quantomeno ad allentare la loro pressione per via delle sollecitazioni continue (e del sudore), così da ridurre quasi a zero l'incidenza dei bassi nel suono che state cercando di godere e a cui vi state disperatamente aggrappando per trovare stimoli-eccitazione-distrazione per il/dal vostro sforzo per non pensare a quel che state facendo e non ascoltare, nel momento di maggior fatica, l'inevitabile e fatidica domanda "ma chi cazzo me l'ha fatto fare? Non si stava bene sul divano con la fiction o il Grande Fratello in tv???...ehm... in effetti no, se l'alternativa è quella, NON si stava meglio!! Quindi subito fuori in ciclabile!".

Di recente, dopo che per qualche giorno la funzione "ascolto casuale" del lettore mp3 mi aveva proposto saltuariamente qualche brano dell'album di cui sto per parlarvi, ho deciso, piacevolmente incuriosito da questi "assaggi randomici", di correre una sera ascoltandolo per intero e appunto con le cuffie (vadano a farsi benedire gli auricolari! Voglio la profondità del suono!).

Seguiranno le impressioni cui sono giunto dopo tre o quattro corse / tre o quattro ascolti...

Quanto sto per affermare non incontrerà senz'altro il favore dei più intransigenti progsters che amano incondizionatamente questa valorosa band americana, di coloro (e non sono pochi, visto che parliamo di una delle più importanti band della scena progressive, o neo-progressive, internazionale attuale) che la seguono e apprezzano quindi sin dal suo esordio "the Light" vecchio ormai di quasi 20 anni.

Ebbene, mi sento di dire che questo ultimo nato in casa "Barba di Spock" potrebbe anche essere il loro album migliore, e vi spiegherò perchè.

Nei primi 7 anni della loro carriera gli Spock's erano guidati dal cantante-tastierista Neal Morse, talentuoso compositore che richiamandosi alla tradizione prog sia europea che americana metteva insieme opere di indubbio valore (generalmente considerate le loro migliori da critica e fans) che però, a mio parere, peccavano un tantino di prolissità, disomogeneità, ampollosità, creando, almeno nel sottoscritto, una certa difficoltà ad ascoltare un suo (loro) album tutto insieme, tutto d'un fiato. Il mio preferito di quel periodo è forse "V", quello dalle melodie migliori e di maggior impatto, assieme al più "semplice" "Day for Night", mentre non mi ha entusiasmato il blasonato doppio concept "Snow", sorta di "the Lamb lies down on Broadway" degli Spock's Beard e ultimo album con Neal Morse, prima della sua conversione cristiana e conseguente carriera solista. 

Curiosamente, proprio come accadde per i Genesis, anche qui il batterista (il bravo Nick d'Virgilio), dopo il doppio concept fatto di canzoni più brevi e senza più suite e la successiva dipartita del cantante-leader, prende le redini del gruppo occupandosi lui stesso della voce, con buoni risultati, bisogna ammettere. Con Nick alla voce, gli Spock's danno alle stampe quattro album di buon valore ("Octane" e "X" i migliori, per il sottoscritto), dimostrando di saper sopravvivere bene (meglio?) alla partenza del loro storico leader.

Un nuovo cambio al microfono però attende ancora il gruppo americano, giacchè dopo l'uscita nel 2010 di "X" (del quale vi consiglio caldamente di sentire la suite finale "Jaws of Heaven") anche il batterista-cantante lascia la band (di nuovo, come per i Genesis!!!), e i tre superstiti - ovvero Dave Meros al basso, Ryo Okumoto alle tastiere e Alan Morse alla chitarra, fratello del "dimissionario" Neal - scelgono un ottimo sostituto, già ben noto ai progsters, ovvero quel Ted Leonard splendido interprete degli Enchant. E la scelta non poteva essere migliore, visto che l'ugola e la prova del nuovo entrato rappresentano uno dei motivi della riuscita di questo loro ultimo album.

"Brief Nocturnes and Dreamless Sleep", uscito nel 2013, è un piccolo gioiello nella loro discografia. Ted Leonard dimostra di essersi subito integrato nella band e adattato al loro stile, sfornando melodie di ampio respiro ed immediato impatto, ritornelli catchy, cori variegati e in generale una prestazione grintosa e convinta, nonostante l'ingresso in una band già rodata e matura.

Già dalla solenne apertura di pianoforte di "Hiding Out" capiamo che i Kansas sono una delle maggiori influenze dei nostri, che sfoggiano da subito il loro stile sinfonico ed enfatico e la grandeur tipici di Steve Walsh e soci, ma come sempre contaminandola coi barocchismi e la solarità degli Yes. Ciò che ne viene fuori è appunto un incrocio tra la scuola americana (e quindi sì solennità ed enfasi ma anche semplicità) e quella europea del prog, coi Gentle Giant e i loro intrecci vocali sempre presenti qua e là, soprattutto in "Afterthoughts", sorta di sequel degli storici "Thoughts" che facevano capolino in "Beware of Darkness" e "V". 

I pezzi migliori che vi segnalo, oltre al già citato brano di apertura, sono senz'altro "I know your secret", gran pezzo pieno di groove, costruito su un solido e azzeccato riff e impreziosito da un grintoso refrain dal tiro micidiale (non si direbbe per un gruppo prog, ma come avrete capito il loro prog è sui generis, essendo molto propenso alla forma canzone, anche quando il minutaggio si allunga), oltre che da parti più rilassate e d'atmosfera, e la penultima "Something very strange", davvero splendida nel suo essere ricca di ricami alla Yes eppure improvvisamente semplice e vincente come un pezzo degli Asia ma più potente, dinamico, grintoso. Il ritornello anche quì è assolutamente vincente, le parti strumentali ottime, ricche ma al tempo stesso sempre intelleggibili, mai troppo arzigogolate. L'assolo di Morse verso la fine del brano, in crescendo, subito prima che Leonard ci delizi ancora col refrain, conferma il tutto, risultando melodico e sintetico ma centrato, mai sbrodolato o buttato lì come a volte capita a chi fa prog pensando fondamentalmente di esibirsi...

Concludendo, l'album risulta fresco all'ascolto e godibilissimo, mai tedioso, vario al punto giusto ma mai disomogeneo, non ampolloso come spesso erano con Neal Morse, e, last but not least, impreziosito dal miglior cantante finora apparso su un album degli Spock's Beard.

Se miscelate i gruppi che vi ho citato - Kansas, Yes, Gentle Giant e Asia - ma immaginando il tutto con un suono più corposo, potente e moderno, avrete un'idea fedele di come suonano oggi questi tizi. E non è poco.

Per me, ripeto, è il loro album migliore, perchè ha il tiro giusto, si ascolta tutto volentieri, senza cedimenti, senza volerne oltrepassare qualche parte.

Se poi fate vostra l'edizione limitata, avrete un bonus cd di assoluto valore, perchè composto da tracce altrettanto riuscite e stranamente escluse dall'album, su tutte una geniale "Wish i were here" ricca di groove e caratterizzata da un originale (per loro) cantato psichedelico tra Beatles e Tame Impala poggiato su un bel riff di chitarra e tastiera e azzeccati effetti.

Gli Spock's Beard non sono mai stati così in forma: sentire per credere! 

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