Non si può certo dire che Steven Wilson passi il tempo a girarsi i pollici. Questo è già il terzo album che fa uscire nel 2011. Un infaticabile, chi ascolta i Porcupine Tree, i Blackfield, i Bass Communion, i No-Man, gli I.E.M. sa di che parlo: di un work addicted.

Questo è un album solista, e gli album solisti di Wilson hanno sempre il compito di fungere da valvola di sfogo per delle ispirazioni o dei progetti temporanei che rimarranno confinati a quell'album (almeno finora è stato così). Ad esempio il precedente Insurgentes è nato dall'ascolto da parte di Wilson di gruppi post-punk/shoegaze, come i Flaming Lips, i The Cure, i Killing Joke, i My Bloody Valentine ma soprattutto i Joy Division. Parlando di Grace For Drowning, Wilson punta ad un album che tributasse il Rock Progessivo a cavallo tra i 60 e i 70. Evidentemente si è lasciato andare la mano perchè ci propone un doppio.

La prima cosa da dire è che pur essendo dedicato al periodo di maggior splendore prog, quest'album non è assolutamente derivazionista o citazionista, anche se propone delle occulte "dediche" a dei giganti prog. Wilson è riuscito a creare un ricettacolo delle sue capacità, di molti dei colori che la sua tavolozza può utilizzare nel comporre un brano, e sono un numero sorprendentemente alto, infatti ognuno dei brani del doppio è peculiare, e questo mi attira inesorabilmente a parlare, il più brevemente possibile, di ognuno di loro.

I. Deform to Form a Star

(I due album interni hanno essi stessi dei titoli)

1-  Grace for Drowning. La title-track è un introduzione, un semplice e breve corale che ricorderà certamente Introduzione della Premiata Forneria Marconi, in maniera anche piuttosto spinta.

2- Sectarian. Questa traccia è molto particolare. E' l'esempio del nuovo stile compositivo del Nostro, che propone pezzi anche molto sinfonici (con la popolarità è venuta anche la possibilità di usare parecchi turnisti). Lo strumentale ha tra gli ingredienti Lark's Tongues in Aspic Pt.II e VROOM! dei King Crimson, con una spruzzata di THRAK!, il tutto immerso in quelle verdi atmosfere nebulose che avvolgevano i pezzi composti tra Deadwing e Fear of a Blank Planet (Revenant). Interessante anche il frammento simile a Pictures/Lighthouse dei Van Der Graaf Generator.

3- Deform to Form a Star. Facile gridare al capolavoro ascoltando questi sette minuti. Qui abbiamo il miglior Wilson, quello di Trains o Dark Matter. Nessuna citazione, forse una lacrima dei Genesis di Gabriel nel ritornello. Splendido il secondo solo, ha lo stesso stile di quello, altrettanto bello, di Where We Would Be (Lightbulb Sun).

4- No Part of Me. Qui ho bisogno di delucidazioni. Non ho mai sentito nulla come l'inizio di questa traccia, mi viene in mente solo un ibrido tra i Grandaddy e certi Radiohead con Apres-Mortes.  Dopo la breve parte vocale si apre un riff Heavy metal, simile in tutto e per tutto a quelli insistenti di Anesthetize.

5- Postcard. Questa è la classica splendida traccia pop che il Nostro ci ficca in ogni album (non ce n'è uno che non abbia almeno un fantastico pezzo pop, e spesso più d'uno). Da segnalare le sezioni d’archi (veri!) che lo popolano e soprattutto le piacevolissime parti di violoncello.

6- Raider Prelude. Posto in penultima posizione come Raider II dell’altro disco, è un pezzo che si può dire raccolga l’essenza di Up the Downstair, soprattutto di Siren e Monuments Burn Into Moments.

7- Remainder the Black Dog. Un gran bel pezzo che prende vita da un claustrofobico giro di piano. Ad un primo acchito la parte iniziale può ricordare gli Opeth di Damnation, ma se si ascolta più a fondo emerge che è perché entrambi, il pezzo da una parte e l’album dall’altra, pescano abbondantemente dallo scrigno del Rock Progressivo Italiano. In questo caso si prendono in prestito idee del Banco del Mutuo Soccorso, in particolare Il Giardino del Mago (omonimo). La consueta voce filtrata ci conduce ad un inestimabile, brevissimo momento estremamente caratteristico dei Van Der Graaf, con quel sax scatenato e quel piano che per un momento sembra manovrato da Banton (la magia è spezzata dalla batteria, Evans non avrebbe mai suonato così). Poi un vortice di suoni (forse Kosmos Tours?) ci fa approdare, tra stacchetti di basso, di acustica e di tastiera, a uno scontro elettrica-flauto che conclude un pezzo interessantissimo.

II. Like Dust I Have Cleared from my Eye

1- Belle De Jour. Qui si, Opeth. Quelli di Heritage (dopotutto Wilson ha missato quell’album), in particolare Marrow of the Earth. Steven ha dichiarato che per intenti quest’album si può considerare parte di una trilogia composta da Grace for Drowning, appunto Heritage e l’ancora inedito progetto Storm Corrosion, sempre di Wilson-Akerfeldt (a nessuno viene in mente un’altra trilogia? Fripp-Eno-Bowie?). Curioso poi constatare che anche un altro strumentale che apre un lavoro di Wilson sia in francese (Intruder D’Or).

2- Index. Un altro pezzo del bizzarro stile che Steven ci ha proposto su The Incident (la title-track e Bonny the Cat), vista però attraverso le lenti di Abandoner (Insurgentes).

3- Track One. Un’altra di cui è difficile parlare. Una tranquilla traccia acustica tutta sospiri, parrebbe. Ma il Nostro ci sguinzaglia contro delle distorsioni che si arenano su tastiere spazianti dilata-timpani. Il tutto lascia poi spazio ad un romantico solo che risente della scuola di Latimer.

4- Raider II. L’effetto che fa vedere la lunghezza di questo pezzo alla fine di un doppio (23:21), è simile a quello di chi si è visto fioppargli addosso Flicker dopo una suite di tre quarti d’ora; è un macigno. Il fatto poi che i primi e ultimi tre minuti sono nel classico stile “guadagna tempo” non migliora certo le cose. Un piano lumacoide disperde i suoi tentacoli a fiato. Finalmente un esplosione (che però ci collega a Sectarian) lascia lo spazio ad una strofa ispirata chiaramente a Cirkus, dell’album Lizard del Re Cremisi, poi una sezione che può ricordare Slave Called Shiver lascia lo spazio ad uno splendido flauto che non sembrà né quello di pezzi come Arcadia Son degli I.E.M. né Ian Anderson, e già questa è una grossa conquista. Poi un velocissimo riff di chitarra ci apre ad uno spazio dedicato ad un alt sax. Wilson non è nuovo a comporre pezzi per fiati, tra collaborazioni varie con Travis,e si sente. Strumenti accolti a mio parere benissimo dal sound dell’album. Fantastico il sax che chiude il pezzo in maniera grandiosa. Pezzo valido, anche se con caratteristiche “collage”, ma con minutaggio un po’ eccessivo.

5- Like Dust I Have Cleared from my Eye. La conclusiva è un’altra traccia senza riferimenti. Il solo e il coro lascian orfani a quattro minuti da Light Mass Prayer, e così l’album alfine termina.

Per concludere (siete stufi, lo so), un album molto vario, anche se forse è un cinque un po’ scarso, perché come quasi tutti i doppi non è molto unitario e compatto, oltre che pesante in alcuni punti. Ma l’impronta è quella dei grandi, e pochi artisti potrebbero concepire un album con una tale ampiezza di vedute. Da ricordare infine un paio di cose: Wilson si auto produce da una vita, e lo sa fare come una divinità egizia, i suoi arrangiamenti sono qualcosa di sublime, come il suo songwriting, nitido e privo di orpelli. L’artista ci ha offerto una panoramica si quello che è in grado di fare, e non è poco. Da ascoltare parecchie volte.

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