Gruppo indubbiamente di nicchia i Sun City Girls. Formatisi a Phoenix (Arizona) intorno al 1980 dai fratelli Rick ed Alan Bishop (rispettivamente chitarra e basso) insieme al batterista Charles Gocher, al pari di Caroliner e dei più famosi Residents, hanno all’attivo numerosi lavori (le prime due cassette sono targate ’82 e ’83), ma, la scarsa distribuzione (probabilmente voluta) e l’elevato prezzo dei dischi (questo doppio cd sulla rete è valutato 75 dollari!) li rendono quasi del tutto irraggiungibili.

300,003 Cross Dressers From Beyond The Rig Veda è un lavoro strutturato su due cd indubbiamente diversi nelle composizioni, difatti ad un secondo cd completamente strumentale con pezzi lunghi ed estremamente dilatati ("Ghost Ghat Tresspass/ Sussmeier" dura quasi 35 minuti), ne corrisponde un primo da 15 tracce più riconducibili a classiche (forse esagero) forme-canzoni.
Partendo da quest’ultimo veniamo introdotti da "Civet's Tango" una composizione acustica di natura folk-blues (dal sapore oreintale come la maggior parte delle traccie) dove una stridula voce da folletto ubriaco parlotta e canticchia in maniera scomposta ed incostante.La cantilena residentsiana di "CCC", accompagnata da una arpeggio sognante ci introduce a "Apna Desh", un rock di stampo sixties con incursioni messicaneggianti (ridà al suono psichedelico dei 13th Floor Elevators) ed intermezzo jazzy dove sono le chitarre acide a farla da padrone. Sempre su distese desertiche ci portano "Rookoobay" e "Cruel and Thin" ballate acustiche dal sapore malinconico, mentre "Sardharma Royale" sembra più una traccia del secondo cd, data la sua struttura basata su xilofoni e ritmi primitivi. Due semplici note di piano percorrono la voce di uno sciamano delirante su "Sikya Boyah" dove i riferimenti ai 4 della teoria dell’oscurità sono sempre più evidenti.
Con il passare del tempo l’album saltella sempre di più tra tracce rock-sixties (sempre riuscite ed avvincenti) e composizioni più mistiche,che conferiscono ai tre un alone fuori dal tempo e dallo spazio ,indubbiamente del tutto disconnesso da qualsiasi filone musicale anni ’90.
Molte registrazioni sono live, che in questo caso è più un bene che un male, dato che le parti improvvisate aumentano ancora di più il sapore esotico del disco. In alcune composizioni ("Murderers Night") si potrebbe rivedere un Tom Waits strumentale (periodo Rain Dogs) con in testa meno odori di tabacco e sapori di alcol ma più aromi di spezie e incenso, o forse dei Thin White Rope spogli di qualsiasi velleità “forma-canzone” ("Theme From Sangkala" strumentale languida e sognante), ma comunque sono forzature e paragoni lontani e sfuocati. Il fatto è che ascoltando questo primo disco si ha la sensazione di aver trovato l’anello mancante tra Residents e Caroliner, una pazza anomalia nel panorama musicale americano che vive e sopravvive di luce propria.

Il secondo cd è più inseribile in un contesto cosmico-psichedelico con l’introduzione di un sitar quasi distorto che volteggia sopra un tappeto di slide dal sapore sempre orientale ("Cineria Blue"). Sulle stesse atmosfere si basa anche "Shi Paku", un organo e lievi tracce percussive che aumentano ancora di più la sensazione mistica. Scintillanti xilofoni, campane, rumori primitivi prodotti da pezzi di legno ("Candi Suckuh"), l’album sta creando un piccolo microcosmo in continuo movimento che sfocia in "Ghost Ghat Tresspass/ Sussmeier",un vero e proprio mondo fatto di suoni. Un lontano violino ci sussurra parole tristi e calde, parole di una guerra ormai finita e dimenticata, di un risveglio mai avvenuto, di un brezza mattutina. Piccoli input sonori annunciano la nascita di qualcosa, il violino ora canta ad alta voce, canta parole agili e veloci, le percussione lo seguono in maniera più composta, la chitarra crea venti impetuosi e piccole folate più dirette.
La gente applaude, il pezzo è live e da qui in poi cambia anche l’umore dello stesso. Si viene scaraventati in un’orgia free-form, un’idea malata di uno Zorn ubriaco o di un capitano cuoredibue.
Tutto arriva al logico collasso,sprofondando in un cupo silenzio interrotto da suoni di rottami (chitarre) stridenti… da qui riparte un specie di barcollante melodia est-europea,che, neanche il tempo di respirare, si ridistrugge nella tempesta free. E’ un gioco al massacro, dove infine riappare questa melodia che viene nuovamente disintegrata da staffilate improvvise (violino). Questa è "Ghost Ghat Tresspass/ Sussmeier". Un mondo appunto in 35 minuti.
Immersi in una corrente cosmica di scuolo tedesca fine anni 60, "Vimana of the Twilight" alterna note liquide e lunghe a suoni provenienti da altre galassie. Un sinistro organo intimorisce, bolle d’aria scivolano fluidamente in uno spazio infinito. Una sirena impazzita pian piano si calma, lasciando una oscurità di base che soffoca, il viaggio è sempre più sinistro e cupo. Tutto scorre naturalmente fino a "Theme From The Swaying Gardens of Apocalypsia" e "Maybe I'll Kiss and Die a Fool (Finale)", dove rumori di strada di una frenetica metropoli fanno da apripista a tastiere e percussioni indefinite. E’ un funerale, una lenta marcia verso la tomba di qualcuno o qualcosa, una fotografia in bianco e nero sfumata, dove tutti i capi sono chinati.

Dopo questo tour-de-force di quasi due ore e più si rimane così scioccati e storditi dalle miriadi di spunti sonori del primo disco (rock, blues, folk, jazz e amenità varie) e dalle digressioni cosmico-free del secondo, da non riuscire a capacitarsi sul senso che ha dare un voto ad un’opera del genere. Non è ne un capolavoro ne un bidone, è un disco a se stante. Sopra di tutto però aleggia quel fascino alieno ed inclassificabile che solo i quattro bulbi oculari in passato mi hanno saputo dare, visto però sotto un’ottica più popolare (cd1) ed allo stesso tempo astratta (cd2), un’ottica appartenente a persone che a pieno merito si posso definire soggetti, fine ultimo di ogni essere umano che si possa chiamare tale.

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