Il Testamatta Ride... E che risate! Allegre, isteriche, disperate. Risate che ci tengono compagnia dal 1970 e che, forse, mai si spegneranno. E' questo Syd Barrett: un'artista incomprensibile, strano, pazzo, drogato, ma unico nel suo genere. Un ragazzo che si è distinto per aver creato il più significativo album psichedelico e che, solo pochissimi anni dopo, nella solitudine, ha rinnegato tutto ciò, ideando due lavori solisti che sono ''solo'' un profondo ed immenso squarcio nella sua anima, autobiografie in musica, dichiarazioni alle volte celate ed altre volte chiare come il sole.

E cos'è ''The Madcap Laughs'' se non la prima, e forse più suggestiva, parte di codesta autobiografia? Infatti gli elementi per definirla tale non mancano: il lavoro è un crogiolo di emozioni, un immenso pentolone in cui giacciono, mescolati e confusi, tutti i più disparati pensieri e sensazioni. Ci sono l'amore, la confusione, la paura della solitudine, la disperazione, l'euforia, il romanticismo adolescenziale e l'innocenza infantile. Non manca nulla. E allora, perchè qualcuno si ostina a vederlo solo come un'album ''insignificante'' scritto da uno squilibrato? Questo forse non si riuscirà mai a capire. ''The Madcap Laughs'' è un lavoro totalmente nudo e grezzo, un'istantanea della mente di Barrett, alle volte romantica e poetica ed altre disperata e pessimista. Ma è proprio per questo un capolavoro unico in grado di descrivere come pochi il genio del proprio creatore.

Si comincia con ''Terrapin'', innocente dichiarazione d'amore [''I really love you and I mean you the star above you, crystal blue, well, oh baby, my hairs on end about you''] cantata in un tono dolce e svagato che si snoda su un ritmo lento, semplice e ripetitivo. E' poi la volta di ''No Good Trying'', a mio parere una delle perle dell'album, dal tono lucido e deciso e dal ritmo incalzante, con una batteria fortemente predominante che si fa sentire in modo insistente fino alla fine del brano. La traccia successiva è ''Love You'', una ballata movimentata caratterizzata da un testo pieno di assonanze e dal forte sapore di filastrocca infantile [''Honey love you, honey little, honey funny sunny morning, love you more funny, love in the skyline baby''], entrambi elementi tipici dello stile compositivo di Barrett. E segue ''No Man's Land'', altra perla, cantata con voce sicura ed evidenziata da una base strumentale abbastanza solida. Il finale parlato si dice che fu una casualità, ma una volta sentitolo, a Syd piacque, dunque non venne eliminato.

E fin qui ''The Madcap Laughs'' sembra un normalissimo album scritto da un sanissimo singer-song writer senza problemi o accenni di disperazione. Quest'altro aspetto del suo compositore si inizia a manifestare con il brano successivo a ''No Man's Land'', ''Dark Globe''. Qui l'intonazione è spesso sbagliata, troppo acuta, la voce comincia a mostrare le prime venature di disperazione e follia. Il testo esprime tutta la paura di Barrett di venire dimenticato, egli sembra chiedere quasi pietà, dichiarando di ''essere solo una persona'' [''I'm only a person whose arm bands beats on his hands, hang tall. Won't you miss me? Wouldn't you miss me at all?'']. Ma tutto torna normale con l'inizio di ''Here I Go'', simpatica e tranquilla canzoncina dal ritmo brioso e dal testo che rappresenta una sorta di fiaba moderna (si dice che esso venne scritto da Syd in studio nel giro di pochi minuti). Tocca poi a ''Octopus'', brano che racchiude in sè l'anima infantile del suo autore, l'amore per le giostre tipica di un bambinetto, di quel bambinetto che in Barrett non è mai del tutto cresciuto. Piccola curiosità, ''Octopus'' fu l'unico brano dell'album ad uscire come singolo e raggiunse nella classifica del Regno Unito la posizione numero 40.

La canzone successiva è ''Golden Hair'', lirica 5 di ''Musica Da Camera'' di James Joyce. La poesia venne trasformata in canzone ai tempi dei Pink Floyd, ma solo con il suo primo lavoro solista Barrett ebbe l'occasione di renderla pubblica. Il ritmo utilizzato è lento e rilassante, la voce dolce e rasserenante. Segue ''Long Gone'', dal ritmo abbastanza ripetitivo e semplice. Qui si può scorgere un uomo che inizia a perdere il controllo. Il canto non è per nulla impegnato, il tono quasi svogliato. Segue poi ''She Took A Long Cold Look'', a mio parere, alquanto irrilevante. Si iniziano a notare le prime imperfezioni, infatti alla fine si sente chiaramente una voce esterna e il brano stesso termina all'improvviso. ''Feel'', per quanto sia stonata ed imperfetta è a mio parere molto espressiva. Syd sembra abbandonato a se stesso e l'unica consolazione è forse lo strimpellare la sua chitarra e spingere le sue sensazioni verso l'esterno. Anche in questo caso, il brano viene troncato immediatamente e nel finale si sente distintamente la voce del cantante che dice qualcosa. E dopo ''Feel'' ecco che Barrett cade a picco nel baratro della disperazione. La prima canzone che ce lo testimonia è ''If It's In You'', l'embrione di un qualcosa che forse avrebbe potuto toccare la decenza, ma che nello stato in cui è, è solo in grado di stupire. La voce è palesemente stonata, se sia stato fatto apposta o no, questo non si sa, ma di certo il risultato non è dei migliori. Verrebbe da chiedersi per quale motivo Dave Gilmour, al quale era affidata la pubblicazione dell'opera, abbia inserito questo brano e scartato altri molto più seri e razionali che poi furono pubblicati su ''Opel''. La domanda forse non avrà mai risposta, ma intanto il dubbio, o meglio, lo stupore, rimane. Dopo la carneficina di ''If It's In You'' arriva ''Late Night'', l'ultima canzone (e perla) dell'album. Il tono è tra il depresso, l'implorante ed il singhiozzante. Non vi sono sbavature, tutto è perfetto, triste e disperato. Si dice che la canzone venne scritta da Barrett subito dopo il suo allontanamento dai Pink Floyd. In effetti, dando un'occhiata attenta al testo, certe frasi confermerebbero ciò [''Inside me I feel alone and unreal''].

E così l'album si è concluso. Tra le insicurezze, l'euforia e la disperazione Syd è riuscito a creare un vero capolavoro. Un capolavoro diverso, più introspettivo, ma pur sempre unico.

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