"I'm only a person whose armbands beat on his hand, hang tall".

Questa frase, estratta dal brano "Dark Globe", spiega in poche parole cosa rappresenta "The Madcap Laugh". Ancora prima di esser un album, quest'opera è una foto, un'istantanea dell'artista che fu Barrett. Syd a differenza dei suoi ex-compagni non era un esteta, per lui un album non doveva essere una raccolta di canzoni eseguite alla perfezione, ma bensì una fotografia di una dato momento e di un dato stato di coscienza. Le canzoni di "The Madcap Laugh" sono in continuo divenire, sospese in una dimensione accessibile al solo Barrett, non si basano su strutture formali, è un continuo cambio di ritmiche, di accordi, di umori che rispecchiano l'inqiuetudine e la complessità dell'anima del fondatore dei Pik Floyd.

Infatti tutte le persone che suonarono in questo lp, e parliamo di gente come i Soft Machine, raccontano delle difficoltà incontrate nel registrare insieme a Barrett, Hugh Hopper disse "La sua musica non era molto regolare, occorreva prestarle molta attenzione , e poi cambiava all'improvviso". Infatti la sensazione che si ha ascoltando l'album è proprio questa, i muscicisti faticano a seguire le irregolarità della musica, sono quasi sempre in ritardo e per farsi un idea di ciò basta ascoltare "No Good Tryng" o "Octpus". In questo disco Syd Barrett abbandona la sperimentazione, il rumore e gli eccessi freak dell'album d'esordio dei "suoi" Pink Floyd e si mette a nudo.

L'album parte con "Terrapin" una canzone d'amore trasognate, eterea, resa magica dal suo cantato e dal soffice arraggiamento di chitarra elettrica, ma anche se il tema è l'amore non si scade nel banale, infatti nel ritornello Syd ci regala l'ennesima perla surreale cantando di pinne luminose che azzannano un clown. Ma il momeneto in cui si cattura veramente l'essenza di questo artista, è quando si siede solo davanti al microfono con la sua chitarra e le sue paure come in "Dark Globe" dove, in maniera struggente e con estrema sincerità, canta il malessere della sua anima, lanciando un disperato grido d'aiuto. Questo stesso malessere  è percepibile anche in "If It's In You", che con la sua falsa partenza ci mostra il vero Barrett, un uomo, forse un genio, che sta cercando di non farsi schiacciare dal suo stesso spirito.

Immaginare solo un artista depresso e ormai pazzo sarrebbe però quanto di più sbagliato, difatti Barrett riusciva ancor a regalare lampi della sua ironia e fianciullezza, come nel pop sgangherato di "Love You", che le sue atmosfere da saloon, prende in giro i stilemi più sdolcinati e triti delle canzonette d'amore, o "Here i Go" dove su uno squinternato boogie viene raccontata una bizzara storia d'amore finalmente a lieto fine. Il disco si conclude con "Late Night" che con la sua sognante chitarra slide e il suo testo malinconicamente romantico, in cui Barrett si definisce solo e irreale, ci regala un barlume di speranza in cui forse lui ancora credeva, donandoci non un disco ma bensì un pezzo di se stesso, un'istantanea della sua vita.

Carico i commenti... con calma