Più o meno un mese dopo la pubblicazione dell'ultimo album in studio dei Tinariwen ('Elwan'), uscito lo scorso febbraio su ANTI-Records, riecco anche i Tamikrest.

'Kidal', registrato a Bamako, Mali, e prodotto da Mark Mulholland (mixaggio di David Odlum), è il quarto disco in studio dei 'fratellini' dei Tinariwen ed è uscito lo scorso 17 marzo via Glitterbeat. Anticipato dal video di 'Wainan Adobat', il disco porta il nome ed è dedicato in maniera ideale alla città di 'Kidal', centro nel nord del Mali e praticamente situato nel mezzo del deserto del Sahara, città centrale per quella che è la cultura tuareg, quelli che sono gli abitanti 'legittimi' del deserto, ma allo stesso tempo data la propria posizione geografica anche storicamente un punto di incontro tra culture diverse.

Ma Kidal è allo stesso tempo è anche un punto di 'scontro', se vogliamo, considerando che per il popolo tuareg la città è il centro culturale più importante nel confine sud-occidentale del Sahara e dove la loro cultura è tanto radicata quanto in un certo modo soppressa e osteggiata.

Di conseguenza 'Kidal' è in qualche maniera odio e amore, una combinazione di sentimenti che i Tamikrest provano a rappresentare in questo album che a mio parere segna un passaggio fondamentale nella storia della band e per quello che è il loro sound, portando a termine - se possibile - un rito di passaggio che era già in atto con la pubblicazione del loro terzo album in studio, 'Chatma' (2013).

I cambiamenti riguardano il suono del gruppo ma anche le posizioni ideali e politiche, quelle concettuali che vengono espresse da Ousmane Ag Mossa e la sua formazione.

Se infatti in una prima fase, mi riferisco nella specie ai primi due album e alla collaborazione nel progetto Dirtmusic con Huro Race, Chris Brokman e Chris Eckman, i Tamikrest si erano voluti presentare come una versione più 'giovanile' dei Tinariwen, perseguendone la causa (che i Tinariwen fossero la loro principale ispirazione non è mai stato in discussione) ma allo stesso tempo ricercando maggiormente di avvicinarsi a determinate sonorità del rock occidentale anni settanta (fino a quando siamo arrivati a ravvisare persino delle derive kraut-rock), in qualche modo con questo disco qui si può dire che i Tamikrest siano alla fine ritornati a casa.

'Kidal' diventa allora idealmente la storia di un gruppo di ragazzi che lasciano i confini patrii e il deserto per viaggiare nel resto del mondo e scoprire questo che faccia ha e poi ritornare di nuovo a casa e scoprire che questo viaggio gli ha permesso di conoscere ancora meglio se stessi e la propria cultura, quella cultura del deserto che secondo le stesse parole di Ag Mossa significa libertà da tutte le oppressioni. Da questo punto di vista il loro percorso è diametralmente opposto a quello perseguito ad esempio da Bombino, un chitarrista che invece ricerca molto di più l'incontro con la cultura occidentale e il rock tradizionale degli anni settanta, e più prossimo a quello dei loro maestri, i Tinariwen, o di un'altra formazione importante e storica come i Terakaft. Il disco, ne consegue, suona in una maniera che gli stessi Tamikrest hanno definito più convenzionale e più tradizionale rispetto ai precedenti.

Devo dire che questa cosa in un primo momento non mi aveva colpito positivamente: il disco mi appariva in un certo qual modo privo di spunti particolari e essere espressamente una copia di quello che fanno i Tinariwen. Del resto anche loro hanno compiuto con 'Elwan' una specie di ritorno dopo i successi di 'Tassili' e di 'Emmaar', registrato negli US, due dischi particolarmente celebrati ma privi di quella forza dei loro lavori precedenti.

Tuttavia ascoltandolo di nuovo a distanza di mesi vi ho invero trovato molti spunti interessanti e ho dovuto concludere che in definitiva, per quanto Ousmane Ag Mossa e i suoi compagni si incamminino chiaramente sulle orme dei loro maestri, 'Kidal' abbia un suono suo proprio e peculiare e nel quale si riconosca in qualche modo quello che possiamo considerare come il marchio-Tamikrest.

Il disco è meno elettrico dei precedenti, ma non per questo non si può non definire come un disco rock: 'Mawarniha Tartit', 'Wanina Adobat', 'War Toyed' suonano come dei pezzi rock nello stile nord-africano occidentale classico e derivativo direttamente dal blues di Ali Farka Touré, ispiratore diretto in canzoni come 'Ehad Wad Nadorhan', una ballata piena di ombre che si riflettono sulle dune del deserto, e la conclusiva 'Adad Osan Itibat'. Permane inoltre qualche reminiscenza di arrangiamenti più tipicamente occidentali in canzoni come 'Atwitas' oppure 'Adoutat Salilagh', ma la componente più importante dell'album sono quei pezzi tipicamente 'desert rock' oppure 'tishoumaren' come 'Manhouy Inerizhan', una piccola gemma acustica come 'Tanakra', 'Erres Hin Atouan' e 'War Tila Eridaran', un canto popolare che ti fa pensare a canzoni come 'Bella ciao' oppure 'Fischia il vento'.

Nel 2013 dopo la pubblicazione di 'Chatma', interrogato dal giornalista Andy Morgan, Ousmane Ag Mossa dichiarò che questa musica, il 'tishoumaren', era nata con una causa specifica, quella delle rivendicazioni del popolo Tuareg. Questo disco ne è chiaramente la celebrazione, quello dove i Tamikrest raccolgono nelle loro mani il testimone della causa portata avanti negli anni dai Tinariwen e forse intraprendono una loro strada e dalla quale non c'è più ritorno.

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