Ho letto un mucchio di recensioni di questo ultimo disco di Anton e compagni e credo per lo più di aver letto dappertutto le stesse cose. Nella maggior parte dei casi, 'Third World Pyramid' (uscito lo scorso ottobre via A Recordings) è stato considerato semplicemente come quello che è un altro capitolo nella discografia di una band, considerata sicuramente gande e influente come i Brian Jonestown Massacre, e che in questo senso non sarebbe comunque in alcun modo determinante per quello che è la storia della band. Tra tutte queste, poche hanno cercato veramente di entrare dentro i reali contenuti del disco e di parlare della musica, proponendo in pratica una specie di modello standard di recensione che si adopera in genere per artisti che non avrebbero nulla di nuovo da dimostrare e che per lo più svolgano una specie di lavoro di 'mestiere' e senza particolari e rilevanti innovazioni nel suono e nello stile. In altri casi è stata riproposta la solita spazzatura. Insomma. Parlo ovviamente di 'Dig!', il documentario di Ondi Timoner, quindi rimarcando le solite cazzate (nel senso di cose prive di senso e di alcun fondamento, puro esercizio di fiction) su Anton (che del resto ha dichiarato di non avere praticamente mai visto questo documentario) e i Brian Jonestown Massacre.

La verità, invece, è che il quindicesimo disco della band, completamente registrato e prodotto presso il 'Cobra Studio' di Anton a Berlino, nonostante presenti delle ovvie somiglianze nel suono al disco precedente, 'Revelation' (2014), presenta invero tutta una serie di innovazioni nella musica e nello stile che potrebbero a questo punto segnare anche l'inizio di una nuova fase nella storia dei Brian Jonestown Massacre, questo senza ovviamente tenere conto dei contenuti sia concettuali che ideologici del disco. In questo senso, 'Third World Pyramid', la cui copertina è chiaramente anche un riferimento al logo degli Spacemen 3 (del resto una delle band preferite di Anton e più vicine all'universo dei Brian Jonestown Massacre), è forse il disco più strettamente 'politico' che la band abbia mai pubblicato. Parlo di contenuti ovviamente. Parliamo di un disco che è praticamente completamente immerso nella realtà sociale e politica contemporanea e il cui titolo del resto vuole essere un riferimento alla maniera astratta in cui Anton fa un parallelo tra quelle che sono strutture costruite su più livelli come le piramidi o le ziggurat di Babilonia (strutture che del resto sono collocate geograficamente proprio in quello che oggi chiamiamo, 'terzo mondo') e la società contemporanea, che è anch'essa evidentemente modellata su più livelli e iconograficamente raffigurabile come una piramide umana, dove le persone sono separate tra loro da quelli che sono dei blocchi di cemento ideali e da una separazione che rende impossibile alle diverse parti di lavorarare assieme per quelli che possono essere intenti comuni. Una considerazione dura, persino brutale su questo particolare momento storico e che forse appare oggi persino più attuale che qualche mese fa. Potrebbe sembrare persino profetica se non fosse tuttavia per il fatto che la storia segua sempre un suo corso e nulla accada giusto per il puro caso. Ma del resto Anton non si propone al solito di essere malinconico, disperato o persino catastrofico e in questo disco offre all'ascoltare quello che è uno spettro completo delle emozioni umane, ponendosi come un critico concreto della società moderna e come tale come quello che vuole essere un uomo del suo tempo.

A parte questo, parlando più strettamente dei contenuti musicali del disco, è noto che Anton e i Brian Jonestown Massacre siano arrivati a questo nuovo disco dopo e attraverso quella che si può definire una fase particolare nella storia del gruppo. Dopo la pubblicazione di 'Revelation si sono susseguiti un mucchio di eventi e tutti questi hanno in maniera evidente condizionato il sound del nuovo disco, sia per quello che riguarda una 'ridefinizione' della band in tutti i suoi elementi che proprio nella maniera di come concepire le canzoni e come queste debbano essere eseguiti. Il gruppo ha superato brillantemente quella che avrebbe potuto apparire come una crisi causa l'addio di due membri storici Frankie 'Teardrop' Emerson e (non senza polemiche) Matt Hollywood e la new entry di un nuovo chitarrista, Ryan Van Kriedt degli Asteroid #4 e dei Dead Skeletons, un musicista che non solo è particolarmente abile, ma anche altrettanto ingegnoso e il cui apporto al sound della band è stato sostanziale sia in senso innovativo che proprio di possibilità, rivelandosi in questo senso la giusta risposta a alcune considerazioni espresse da Anton nel tempo, che riteneva infatti vi fossero prima troppi chitarristi, e che probabilmente dopo l'esperienza maturata lavorando e andando in tour con Tess Parks, ha anche pensato di cambiare il suo stesso ruolo all'interno della cerchia dei chitarristi della band.

Tutte queste considerazioni sono indispensabili e sono alla base del making del disco e di quella che apparentemente, anche stando a quanto espresso dallo stesso Anton e da Ricky Maymi in un'intervista che ho avuto modo di fargli lo scorso anno, è una fase eccezionale per la band, che nel periodo tra 'Revelation' e 'Third World Pyramid' ha rilasciato un EP (senza considerare, ovvio, 'Musique de film imaginé'), girato due volte gli USA e l'Europa e una volta l'Australia. Mi sembra, non vorrei sbagliare, che abbiano anche fatto un paio di concerti a Tokyo, Giappone. In ogni caso la band non suonava così tanto dal vivo da un mucchio di tempo e lo stesso Anton, che sicuramente è un artista molto più che prolifico, attraversa una fase creativa importante, persino esplosiva. Basti pensare del resto che mentre scrivo queste righe è in verità già pronto un nuovo LP, che uscirà il prossimo febbraio e che, anticipato dall'uscita di ben tre singoli nei prossimi giorni, suonerà, stando alle sue dichiarazioni, molto più kraut-rock, PIL Limited steel box, dub, distopico!

Sin dalla prima traccia, non capisco invero come si possa ritenere che questo disco sia qualche cosa di ridondante o che comunque non aggiunga nulla di nuovo per quello che riguarda il sound della band. C'è, questo è ovvio, quello che oramai si può definire il marchio, l'imprinting Brian Jonestown Massacre ('Like Describing Colors To A Blind Man On Acid' è ad esempio sicuramente quello che si può definire una canzone in perfetto stile della band, una specie di classico), ma come potrebbe essere altrimenti se consideriamo del resto che questa stessa impronta sia poi riconoscibile in un mucchio di altri gruppi che si ispirano o sono stati ispirati da loro. 'Good Mourning', la prima canzone del disco, è una solenne canzone folk psichedelica, una nenia irregolare e una ballata evocativa cantata dalla fotografa e artista visuale Katy Lane (che tra le altre cose poi sarebbe la moglie di Anton) con una voce lamentosa e quasi disperata su un arrangiamento che ricalca lo stile tipico di alcuni momenti della psychedelia folk degli anni sessanta (penso ad esempio a Donovan o Vashti Bunyan, anche se le tonalità in questo caso sono forse più solenni e potrebbero fare pensare a alcuni episodi nello stile di Nico). 'Don't Get Lost', 'Government Beard' e la title-track, 'Third World Pyramid' riprendono le stesse sonorità di 'Revelation' e di 'Mini Album Thingy Wingy' dando una sorta di continuità a quelle che ritengo siano le sonorità attuali della band e nelle quali Anton sviluppa un suo approccio alla materia musicale che ho già avuto modo di definire come 'ellenista', una concretizzazione di un modello del pensiero aristotelico e che secondo il filosofo greco considerava l'universale strettamente correlato alla sua predicazione in oggetto: un suono che è quindi la conseguenza, la materializzazione di speculazioni concrete sul mondo e sulla storia della musica e dell'uomo dall'inizio del suo cammino ad oggi. Inevitabile conseguenza di una combinazione tra sonorità psichedeliche del mondo occidentale e l'eco trionfale delle fanfare che accoglievano la grande di Alessandro alle porte di Babilonia la Grande, l'uso smodato di fuzzy guitars e di sintetizzatori, il suono è qualche cosa che immerge gli ascoltatori in uno stato di contemplazione e dove immagini sfocate sfrecciano alla velocità della luce innanzi agli occhi fino alla visione varia e multicolore bellezza dei giardini pensili. Un immaginario che raggiunge il suo climax con la cover di 'Assignment Song' di Nina Simone, che qui viene ridefinita in una traccia di rock psichedelico la cui apertura ricorda in qualche modo nella cadenza e lo stile dell'arrangiamento un'altra famosa cover regitrata dal gruppo nel 2001 e contenuta nel disco, 'Bravery, Repetition and Noise', cioè quella di 'Sailor' dei Cryan' Shames. Lunga più di nove minuti, la traccia si sviluppa in un crescendo emozionale e con un tocco nel finale di vintage con l'uso dell'organo che ricorda i primi Pink Floyd (praticamente quelli di Syd Barrett). Uno stile più tardi ripreso anche nell'ultima traccia del disco, 'The Sun Ship' (rilasciata anche come singolo), che suona con uno stile molto uk psichedelico anni sessanta senza tuttavia rinnegare il patrimonio genetico della band.

Un certo approccio cinematografico si evince nello sviluppo di 'Oh Bother', dove i sintetizzatore suonano come se fossero squilli di trombe e sezioni di fiati in uno stile quasi morriconiano e dove i Brian Jonestown Massacre, come in altre occasioni del resto, e come fanno i Federale (capitanati del resto dal bassista dei BJM, Collin Hegna) oppure gli Spindrift, evocano i temi di film western oppure noir nella tradizione del cinema francese cui Anton ha già pagato ampiamente omaggio nel disco, 'Musique de film Imaginé', una colonna sonora per un film francese immaginario di fine anni cinquanta oppure degli anni sessanta e diretto magari da Francois Truffaut oppure Jean-Luc Godard. 'Lunar Surf Graveyard' mantiene comunque un approccio di tipo cinematografico anche se in questo caso i toni e le atmosfere si fanno meno aggressive e la canzone si costruisce sulla combinazione di arpeggi di chitarra in un tragico memoriale di quello che poi possibilmente è lo stesso continente europeo, il posto dove Anton ha scelto di vivere e scegliendo in tal senso proprio quello che ne costituisce il cuore pulsante, la capitale, Berlino, volendosi quindi immergere in una dimensione che lui ritiene faccia di se stesso un bohémien. Un artista che pratica uno stile di vita non convenzionale e che propone, si lascia coinvolgere in maniera attiva in progetti e movimenti artistici e in particolar modo musicali. Anton è avventuriero e allo stesso tempo un artista consapevole e un cittadino del mondo occidentale e che non vuole considerare questo come una specie di monolite ma che, lontano da ogni devozione e approccio di tipo iconoclasta, sia invece assolutamente determinato a smantellare o meglio a risolvere questo cubo di rubik, questa struttura a più livelli e facce che è la piramide del terzo mondo, la società del nostro tempo.

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