La parabola creativa dei Doors fu piuttosto breve, a causa della prematura morte di Jim Morrison. Inoltre fu quasi totalmente discendente, dato che l'eccezionale album d'esordio espresse subito al meglio i contenuti artistici del gruppo.
"The Doors" fu un qualcosa di assolutamente inaudito in un'epoca in cui imperava ancora la semplicità dei Beatles. Il materiale di base era un più o meno frenetico rock, con deciso accento blues, ma unico fu il modo di proporlo, un po' grazie alla voce di Jim Morrison, prevalentemente cupa e cavernosa, ma capace di passare all'urlo isterico, nevrotico, una rabbia senza speranza, ben lontana per esempio dalla sana, atletica incazzatura di un Bruce Springsteen. E ancora di più grazie all'uso costante da parte di Ray Manzarek dell'organo, strumento inconsueto per il rock, un organo raramente "liturgico", molto più spesso impegnato in scatenate evoluzioni, e allo stile chitarristico di Robbie Krieger, tra il languido e il visionario.
Con questi marchi di fabbrica anche i blues-rock più standard, come "Soul Kitchen", "Twentieth Century Fox", "I Looked At You", "Take It As It Comes" acquistano un tono sinistro e cupo che è poi parte integrante del loro fascino. A maggior ragione i rock più duri del disco, la frenetica, mozzafiato "Break On Through" e l'ostinata, urlata "Back Door Man", rivelano un carattere diabolico, sulfureo che li distingue dall'informe baccano del comune hard rock.
"Alabama Song" è un momento particolare del disco, una marcetta teatrale brechtiana, stravolta e alcoolica al punto giusto. Ma gli episodi che fanno di questo disco un capolavoro, anche a prescindere dall'epoca in cui uscì, sono quelli in cui i Doors si elevano al di sopra del rock vero e proprio per raggiungere le sfere del'arte visionaria. "The Crystal Ship" dura un attimo, ma è una vera e propria "apparizione" musicale, in cui la già stupenda base melodica è sottoposta ad un crescendo di tensione emotiva, ben sottolineato dal pianoforte di Manzarek e dalla voce di Morrison, mai come in questo caso proveniente da un altro mondo. "Light My Fire" inizia e finisce come un semplice rock, ma il lungo ponte centrale è un profondo viaggio nella mente umana (e anche nell'LSD), scandito da un ritmo circolare e ipnotico. "End Of The Night" è un altro momento rarefatto, un'allucinazione musicale, grazie alla voce d'oltretomba di Morrison e alle spettrali distorsioni della chitarra di Krieger.
Ma l'incubo musicale per eccellenza, sublime tortura di ben 11 minuti, è "The End", che chiude il disco con un tono tra i più apocalittici della storia del rock. È una cottura a fuoco lento, un dondolarsi di suoni distorti e quasi incerti, in cui predomina la chitarra "etnica", ora orientale, ora hawaiana, di Robby Krieger. Nonostante la durata e l'ossessività la magia riesce a protrarsi fino alla fine, forse proprio grazie ad un tema così profondamente ipnotico da portare l'ascoltatore in un'altra dimensione.
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