Negli Stati Uniti della seconda metà degli anni sessanta la musica rock fu attraversata da un fenomeno particolare: l'amore per il bizzarro e per la sperimentazione folle sul tessuto della tradizione. A questa categoria di musicisti alieni alla logica commerciale è spesso associato l'appellativo di freaks, come se fossero dei fenomeni da baraccone che la società "normalizzata" guarda con un misto d'ironia e compassione per la loro situazione di "diversi".

In realtà il mondo culturale dovrebbe ripagare con gli interessi gruppi come le Mothers of Inventions di Zappa, i Fugs dei guru Sanders/Kupferbeger, gli Unites States of America del pazzoide Joseph Byrd, gente la cui musica fu definita da un grande giornale dell'epoca "una raccolta d'immondizie". Ma in un certo modo questi gruppi hanno avuto il riconoscimento e il posto che meritano nell'ambito dello sviluppo della musica che ci interessa. La fervida immaginazione che li ha portati, a differenza di tanti altri statici personaggi rock che ancora oggi suonano sempre le stesse cose, a smontare la macchina musicale allo scopo di  scoprire il funzionamento del suo meccanismo per poi rimontarla secondo forme inusitate eppure straordinariamente efficaci, rimarrà una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dalla scimmia.

Questa celebrazione ha però dimenticato per strada uno dei gruppi che ha partecipato, allo stesso modo di quelli citati, alla sublimazione dello spirito freak: gli Holy Modal Rounders. Che in origine era un duo di folksingers tra i più strampalati in circolazione.  Peter Stampfel alla chitarra e Steve Weber al banjo e fiddle rivoltavano uno dei generi più tradizionali dell'america rurale con le loro voci in bilico tra l'operetta e il cartone animato, risultando troppo strani e dissacranti per l'ascoltatore medio. Eppure vi consiglio di ascoltare i primi due dischi intitolati semplicemente Vol 1&2 (racchiusi in unico compact disc) ed allora fuochi pirotecnici (tra i tanti: "Give the fiddler a dream", "Bound to lose", "Junco Partner") riempiranno la vostra stanza sfatando la diceria che il folk è tedioso. La svolta per il duo Stampfel/Weber fu data dal trip acido che portò alla realizzazione nel 1967 di "Indian War Hoop" con una vera band nella quale spicca alle percussioni il futuro scrittore Sam Shepard. I due abbracciano lo sballo anfetaminico con il risultato di addentrarsi nel casino psichedelico più totale con un susseguirsi di bizzarre esperienze soniche dei vagabondi Jimmy e Crash, gli alter ego del duo Stampfel/Weber. Ascoltato oggi magari fa un po' ridere  (e forse magari era quella l'intenzione) ma per l'epoca le dissonanze di Stampfel sono pura genialitàIndian non  è altro che il fantastico preludio al botto del disco di qualche anno dopo, questo "The Moray Eels Eat the Holy Modal Rounders" che già dal titolo è tutto un programma (Le murene divorano gli Holy Modal Rounders).

Il disco apre con una "Bird Song" che resta un cult nell'immaginario freak per aver musicato le evoluzioni di Captain America e Billy in sella ai loro chopper sul nastro d'asfalto di "Easy Rider", e con un poco di sforzo parrebbe anche  una canzone abbastanza normale, ma il resto è pura freakitudine culminante nei tre minuti di "Werewolf", il gelido mantra  lamentoso  alla luna di un lupo mannaro ubriacone, oppure il blues sbilenco alla cazzodicane di  "My Mind Capsized" .E' solo un momento semiserio di mostruosità introspettiva perché brani rock fracassoni come "Half a Mind" fanno davvero venire la voglia di impugnare una pentola o un asse da bucato per buttarsi nella mischia a far casino assieme al resto della banda su un marciapiede della trentesima fino all'arrivo degli sbirri. E ricordatevelo una volta per tutte:  la musica è come la libertà della canzone di Giorgio Gaber... è partecipazione!

E un disco del genere non può che concludersi con la parodia "The Pledge" dell'inno americano cantato da un esercito della salvezza assediato dai più brutti figli di puttana che abbiano mai girovagato tra le strade metropolitane.

Non classificabili  ma fondamentali per tutti quelli che credono che la musica sia il più potente mezzo per volare.

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