Ho appena finito di ascoltare per tre volte di seguito questo "Not Available". Sono scoinvolto, un po' esterrefatto, ma compiaciutissimo. E ne ho  capito il senso.

Facciamo un passo indietro, per capire, a grosse linee, come abbiano fatto queste ambigue caricature umane a dare forse una delle più grandi previsioni future. Ecco come il disagio di quattro futuristi musicali diventa avanguardia.

1974. Ci troviamo ancora negli anni d'oro. Di certo c'erano già "scienziati pazzi" all'opera con i loro infusi, ricordiamo Zappa, Van Vliet, la scena psichedelica (morta da poco), quella progressiva, in piena attività, quella nascente del kraut, e tra i tanti questi Residents, questi ometti sardonici che parodiavano i Beatles indossando giacca e cravatta e alla testa un bel bulbo oculare tondo e sanguinante. Quelli che scarabocchiarono la copertina di "Meet the Beatles", quelli che amavano Zappa ma anche la tecnologia. Quelli che  facevano musica e non vedevano nemmeno un soldone. Quelli che furono indiscutibilmente tra le più grandi menti musicali del '900.

1978. I Residents decidono di dare alla stampa cinque pezzi sperimentali di quattro anni prima, raccolti in "Not Available", dove all'avanguardia strumentale di fine sessanta si unisce la musica elettronica e il sintetizzatore. Ecco, il sintetizzatore. Ma andiamo ad esaminare l'album.

"Edweena", e da subito interviene il synth, accompagnato dal battito imponente. Già mi si crea l'immagine in testa. I miei pensieri si creano e provo ad immedesimarli nella musica. C'è qualcosa che mi mette a disagio. Ci penso, e all'ingresso del piano maledetto mi viene in mente la parola. Inquietante. Mi da quel senso di angoscia e mi riviene in mente quella frase di Lovecraft (è anche sul mio profilo). "La paura più grande è quella dell'ignoto". Io questa musica non l'ho mai sentita.  E quando si fa avanti l'elettronica a farsi spazio tra le lagne macabre si fa ancora più pesante questa sensazione di fastidio, di angoscia perenne. E' il buio più cupo. E quell'alone di mistero creatosi attorno alle figure di questi quattro musicisti suonati (secondo leggende metropolitane, non hanno mai messo in vista le loro facce in pubblico) rende il tutto più oscuro.

Mi calmo un attimo sull'inizio battente di "Making of a Soul" e il sax mi fa sentire meglio. Pian piano però, nel ripetersi del tema iniziale, sento quasi che il piano si distorce sotto i battiti e sotto il sax. Poi tutto si interrompe e un piano sofferto introduce questa voce dolente e bisbigliata. Mi viene in mente Dalì alle prese col pennello, mi viene in mente una farsa musicale, un musical. Un musical maledettamente macabro. Per un attimo ritorna il tema iniziale, poi silenzio, poi il synth, poi ancora avanza questo canto tanto idiota quanto rassegnato che continua fino alla chiusura. Sembra la voce di un uomo superstite della sedia elettrica.

"Ship's a' going down" ci inganna con un inizio molto toccante ma la melodia che si fa avanti stona profondamente. Una specie di mini-film. "La nave sta affondando". Potrebbe essere la colonna sonora di uno di quei tanti film sul Titanic. Gente che si porta per culo, gente ricca e benestante e gente povera ma fortunata. Tutti in una barca. Gente però inconsapevole del pericolo, che si lamenta quando vede che "the ship is going down", che ha paura di morire, ma il destino è ormai segnato. Poi il dramma dopo la morte.

"Never Known Questions" è più orecchiabile, sembra simile alle prime composizioni di Zappa e la sua madre. E' il requiem della cerimonia funebre. Un funerale che  precede il senso di perdita, di disperazione, della rassegnazione e la depressione che comporta. Poi la celebrazione imponente della rassegnazione, una marcia solenne.

"Epilogue" segna la fine ma anche l'inizio. "Alla fine, il principio". Infatti viene ripreso il tema inquietante di "Edweena", la traccia di apertura. E' la fine, il musical è finito, non c'è più niente da mostrare, tutti  escono dal teatro. Però c'è il bis. E in mezzo al palco ormai vuoto un neonato che borbotta e si lamenta. Ed  è a questo punto che entra in gioco il pianoforte e di nuovo quel senso di imponenza, come se ci si presentasse un nuovo ciclo vitale di fronte. Il tutto è addolcito da un docile arpeggio di arpa, come per dire che non è tutto perso. Noi abbiamo comunque una speranza. Quella di non guardare indietro e di ricominciare, sperando in un'esistenza migliore.

All'inizio vi ho detto che l'ho ascoltato tre volte di seguito. Ora avete capito. L'album è una specie di ciclo vitale in cui un umano cresce, vive, si emoziona, a volte gioisce, a volte dispera, poi invecchia e infine muore. E il ciclo ricomincia in un continuum infinito. Potrei stare ore ed ore a riascoltare questo capolavoro, ma è ora della pappa.

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